Fino allo scorso maggio non se lo filava nessuno, Guido Castelli. I soliti beninformati, quando si sforzavano di immaginare un futuro postberlusconiano, guardavano per lo più verso Pavia, dove regnava Alessandro Cattaneo, già «sindaco più bravo d’Italia» e leader dei «formattatori» (ve li ricordate?) del Pdl. Peccato che alle ultime elezioni sia caduto pure lui, sconfitto a sorpresa da un renziano qualunque. Così, mentre Forza Italia diventava terzo partito dietro Pd e M5S praticamente ovunque, nello sfacelo della destra, a brillare c’era rimasta solo una luce dalla periferia dell’impero.

Le elezioni comunali di Ascoli, Castelli le ha vinte senza problemi al primo turno, con il 60%: centrosinistra inchiodato al 16%, grillini non pervenuti.

In città è adorato, tutti lo chiamano per nome e lui continua a girare in bicicletta, a sorridere e a stringere mani. A trionfo incassato, immediata arrivò la convocazione di Berlusconi a Palazzo Grazioli. Cosa si siano detti i due non è chiaro, ma l’unica cosa certa è che, da allora, le apparizioni sui giornali e in tv del sindaco di Ascoli si sono moltiplicate a vista d’occhio – ormai è una presenza fissa nelle trasmissioni del mattino –, fino ai titoli guadagnati nella giornata di martedì per essersi presentato a Palazzo Chigi con un mazzo di «carte del baro», gentile regalo per Matteo Renzi: «Rappresenta la finanziaria col trucco – ha detto –, i comuni non dovranno tagliare un miliardo e mezzo, ma quattro».

Comunque, del rottamatore di Firenze, Castelli non è un detrattore in tutto e per tutto, anzi: «Incontrando Berlusconi al Nazareno ha posto fine al voto ideologico anti-cavaliere».

L’obiettivo vero, però, rimane la scalata al centrodestra: «Club ed eserciti sono inutili, bisogna puntare sugli amministratori locali». E ancora: «Siamo Berlusconi-dipendenti, viviamo della sua forza e del suo magnetismo. Lui deve impegnarsi a validare un percorso di rinnovamento, e il progetto di ricambio deve essere realistico», con tanti cari saluti ai falchi e alle colombe.

Classe 1965, Guido Castelli è cresciuto politicamente tra il Fronte della Gioventù e l’Msi, come braccio destro di Giuseppe Scoppellitti, sotto la guida di Alemanno e Gasparri, personaggi ai quali il nostro è ancora molto legato. Inevitabile, a metà anni Novanta, arrivò la depurazione di Fiuggi e il cambio di ragione sociale in Alleanza Nazionale, che ad Ascoli solitamente prendeva il doppio dei voti di Forza Italia.

Ad ogni buon conto, per anni dentro le urne il nome di Castelli non è stato poi così forte: sconfitto due volte alle provinciali (1995 e 1999), quando ci provò alle regionali riuscì a passare, ma prese comunque diecimila voti in meno del diretto avversario dei Ds, Luciano Agostini. Nel 2009, fu lanciato alle comunali ascolane, che vinse al ballottaggio per meno di 400 voti, favorito dall’harakiri del centrosinstra, con il Pd che arrivò a boicottare il suo stesso candidato.

Da sindaco ha assistito impotente alla morte della zona industriale cittadina, ma un giorno pensò bene di proporre l’affissione di un dipinto di Mussolini a cavallo nell’atrio di una scuola cittadina. Fu costretto a rimangiarsi tutto dopo le proteste dell’Anpi e la notizia riportata con toni tra il grottesco e il sinceramente preoccupato dalla stampa di mezzo mondo.

Nell’estate del 2012, Castelli ha cominciato a pensare di poter fare le cose in grande. Complice Marcello Veneziani, organizzò in un monastero fuori città un incontro tra i maggiori pensatori della destra italiana, riuniti al grido omerico di «Torniamo a Itaca». La prese male Casapound, con il responsabile culturale Adriano Scianca che commentò gelido: «Altro che Itaca, qui è pieno di proci». Non se ne cavò granché, e per Castelli fu una fortuna, tutto sommato, perché poi sarebbe arrivato Renzi a spazzare via tutti.

Tutti tranne lui.