La prima immagine di Raffaella Carrà si è impressa nella mia memoria di bambina, come succede con tutti gli imprinting, in modo indelebile. Fu la televisione dei primi anni Settanta, per la precisione ottobre 1971, a stamparla. Durante la prima puntata della nona edizione di Canzonissima, Raffaella Carrà, soubrette che affianca Corrado nella conduzione, compare vestita con un pantalone a zampa d’elefante e un top bianchi, le braccia adorne di nastri incrociati e il busto nudo con l’ombelico bene in vista.
Raffaella comincia a cantare e ballare con Enzo Paolo Turchi un’ammiccante canzone che si intitola Tuca Tuca. I suoi fianchi ondeggiano mentre Turchi si piega a toccarle ginocchia, pancia, spalle, fronte e subito dopo lei risponde con gli stessi gesti gorgheggiando «Tuca, tuca, tuuuca, l’ho inventato iiio, per poterti diiire, mi piaci mi piaci mi piaci mi piaci mi pià» e via dicendo.

Non ricordo se mi colpirono di più gli abiti, le movenze o le parole, probabilmente era l’insieme a risultarmi nuovo in quella tivù che anni prima aveva sì fatto vedere le sconfinate gambe delle gemelle Kessler, ma coperte da calze così spesse che sembravano da 240 denari.
Non sapevo, in quell’autunno del 1971, che il giorno dopo i bacchettoni si erano indignati per i sottintesi neanche troppo sottintesi di gesti e parole del Tuca tuca, e che per riabilitare il balletto ci volle la testardaggine di Alberto Sordi che, qualche puntata dopo, accettò di andare ospite della trasmissione solo se gli avessero permesso di ballare con Raffaella la danza incriminata. In Rai, e non solo, comandava la Democrazia Cristiana, il femminismo cominciava a farsi sentire e spaventava il patriarcato costituito, il divorzio era diventato legge da poco e tre anni dopo la solita Dc insieme con l’Msi-Dn del nostalgico del fascismo Giorgio Almirante avrebbero cercato di abrogarlo con un referendum che persero sonoramente. Insomma, la cappa dei puritani era pesante e l’Italia televisiva vide nel ballo della Carrà, che nel tempo è diventato una pietra miliare, una boccata d’ossigeno.

Eppure…eppure devo confessare che a me quel Tuca tuca non è mai piaciuto. Se devo dirla tutta, nemmeno la televisione e le canzoni della Carrà mi hanno mai fatto impazzire per cui nel tempo mi sono tenuta alla larga dalle trasmissioni con le telefonate dei telespettatori che dovevano indovinare quanti fagioli ci fossero nell’enorme vaso alle sue spalle, dal caschetto che tornava perfettamente al suo posto dopo capriole pirotecniche, dai pantaloni strizzatissimi, dai tacchi altissimi, dagli abiti con spalline che sembravano armature, dai suoi successi. Tuttavia arriva sempre un momento in cui ti chiedi perché quello che piace a tanti non conquista te e allora scavi, cerchi di capirne le ragioni, perché magari sei tu che sbagli, o non hai colto un tratto importante.
Sono arrivata alla seguente conclusione. D’istinto, fin da piccola, sentivo che fra me e l’immagine della Carrà c’era una divaricazione. Ho sempre trovato che la sua estetica fosse perfettamente funzionale a un certo gusto maschile della donna e del fare tivù. Se penso alle figure femminili che hanno incantato la mia infanzia televisiva, d’istinto mi vengono in mente Mina, Milly, Sarah Ferrati ne La visita della vecchia signora di Friedrich Dürrenmatt, la drammaticità di Irene Papas in Odissea diretta da Franco Rossi, Juliette Greco in Belfagor.
Detto ciò, porca miseria Raffaella, proprio a soli 78 anni dovevi morire? Per una volta anch’io ballerò il Tuca tuca, in omaggio alla tua bella energia.