«Quello che ricordi ti salva. Ricordare non è ripetere, ma ascoltare quello che non è mai caduto nel silenzio. Così il tuo apprendimento viene da ciò che è morto, dall’ordine, e da quello che di te senti indimenticabile, la passione che ascolti quando non hai niente da dire» (da Imparare una lingua morta, pagina 25).

CLAMOROSAMENTE ASSENTE dal panorama editoriale italiano, finalmente approda sugli scaffali delle nostre librerie L’essenziale, antologia della poesia del due volte premio Pulitzer for Poetry William Stanley Merwin (1927-2019). Incredibilmente non è pubblicata da Mondadori, Crocetti, Garzanti o Einaudi, ma dalla Ubiliber, l’editore promosso dalla UBI, l’Unione Buddhista Italiana.

IL POETA ERA NOTO NEL MONDO, e non gli si farebbe torto aggiungendo che si tratta, al pari di figure quali Derek Walcott, Leslie Allan Murray, Mary Oliver, Gary Snyder, Wole Soyinka, Carol Ann Duffy e Louise Glück, di uno dei poeti di lingua inglese più rinomati e premiati degli ultimi cinquant’anni. La versione italiana, tradotta puntualmente da Chandra Candiani, è una versione ridotta della già compatta antologia uscita in Nordamerica per i tipi della mirabile Copper Canyon Press. Curatore e prefatore ne è Michael Wiegers.

È NOTO CHE MERWIN NACQUE e crebbe a New York City, in qualità di poeta venne valorizzato fin dai suoi esordi universitari, essendo pubblicato nella prestigiosa collana Yale Younger Poets Series, al tempo curata da un certo Wysten Hugh Auden, con la raccolta A Mask for Janus (Una maschera per Giano – 1952), seguita da The Dancing Bears (Gli orsi danzanti – 1954), Green with Beasts (Verde con animali, 1956), The Drunk in the Furnace (L’ubriaco nella fornace – 1960). Wiegers scrive: «La sua produzione – una cinquantina di libri di poesie originali e traduzioni, otto libri di prosa saggistica e narrativa – è sbalorditiva. William Merwin ha vissuto la sua vita in maniera singolare e improbabile».

L’ANTOLOGIA SFIORA VENTI pubblicazioni, dagli esordi alle ultime raccolte, The Moon before Morning (La luna prima del mattino – 2014) e Garden Time (Tempo del giardino – 2016), passando per i classici The Rain in the Trees (La pioggia sugli alberi – 1988), The Vixen (La volpe – 1996) e The River Sound (Il suono del fiume – 1999). Mancano invece estratti dal lungo poema o romanzo in versi The Folding Cliffs (Le scogliere che declinano – 1998), una sorta di tributo alla storia naturale delle Hawaii, nonché una selezione delle sue preziose e premiate traduzioni.

LE PRIME RACCOLTE SONO anzitutto uno sguardo all’eredità dei simboli, ad una cultura classica che tenta di dialogare con la quotidianità. Ma fin dall’inizio c’è un tema rilevante, l’attenzione per uno sguardo alla natura, ed è proprio questo che diventerà, nel corso di sette decadi di scrittura e pubblicazione, il «tema»; ma non una natura idealizzata o astratta, bensì il transito del tempo sul paesaggio, come noi umani possiamo abitare il paesaggio – che sia il giardino di casa propria, i boschi e le foreste, l’isola, i continenti o le affollate strade delle città – dialogando con gli altri esseri viventi. Va ricordato che nella parabola esistenziale di Merwin ad un certo punto compare il buddismo zen, e infatti la sua scelta, nel 1976, di andare a vivere alle Hawaii dipendeva anche dalla presenza del suo maestro, il monaco e poeta Robert Baker Aitken (1917-2010), uno dei primissimi monaci zen statunitensi, fondatore dei templi a Honolulu (1959) e Maui (1969).

MERWIN AVEVA SAPUTO dell’esistenza di un’abitazione circondata da una piantagione di ananassi che rischiava di essere abbattuta, così acquistò la residenza, che divenne centro di attività legate alla poesia e all’ambientalismo, ed è qui che il suo corpo si è spento nella primavera del 2019. L’influenza di queste nuove esperienze, del suo nuovo paesaggio fisico e spirituale, prenderà forma ovviamente nei suoi componimenti, a partire dalla metà degli anni Settanta, dopo il periodo legato alle contestazioni per la guerra in Vietnam e la proliferazione nucleare.

ORA, LE POESIE DAVVERO uniche, ricche, scritte con misura, da questo poeta sarebbero molte. Non basta la storia e non bastano le sorgenti dell’ispirazione per dare conto della bellezza della poesia, come invece può capitare per saggi o per romanzi. Qui ci vorrebbe una moltiplicazione dello spazio, come se pigiando la punta del dito sul titolo di una poesia si proiettasse verticalmente, sopra la pagina del giornale che state leggendo, o si aprisse una finestra nel sito internet che state consultando, per poterla leggere integralmente. Purtroppo ci dobbiamo accontentare di brevi citazioni.

UNA DELLE POESIE CHE preferisco di Merwin s’intitola Place, Posto. Qui restituisco la traduzione della Candiani, a pagina 107: «L’ultimo giorno del mondo / vorrei piantare un albero / per cosa / non per il frutto / l’albero che produce il frutto / non è lo stesso che è stato piantato». Un’altra è River Sound Remembered, Ricordando il suono del fiume, ed una terza è Still Morning, Ancora mattina: «Ora sembra che ci sia una sola / età e che non sappia / niente dell’età come gli uccelli in volo non sanno / niente dell’aria attraverso cui volano / o del giorno che li sorregge». Non è un’adorabile forma di magia?