Ricordate? Nel luglio 2013, durante un comizio e poi su facebook, quel buontempone di Roberto Calderoli paragonò l’ex ministro Cécile Kyenge a una scimmia. “Quando vedo le immagini della Kyenge e quelle sembianze da orango, resto ancora sconvolto”. Grandi risate dei leghisti, anche se la Procura chiese il rinvio a giudizio immediato. Ieri, a due anni dal fatto e con il processo già cominciato, il Senato ha deciso che il reato c’è (la diffamazione) ma non l’aggravante non sussiste (l’istigazione all’odio razziale). E così il “via libera” all’autorizzazione a procedere contro Roberto Calderoli solo per diffamazione nei confronti di Cécile Kyenge di fatto si profila come un salvataggio piuttosto imbarazzante. Soprattutto per il Pd. Forse non è una coincidenza se proprio ieri il senatore della Lega Nord ha annunciato il ritiro dei suoi 500mila emendamenti alla riforma costituzionale oggi in discussione.

L’assemblea di Palazzo Madama, con votazioni per parti separate prima sul reato e poi sull’aggravante, un fatto mai avvenuto prima, è riuscita a dare un colpo al cerchio e uno risolutivo alla botte. I “sì” per il via libera all’autorizzazione a procedere per diffamazione sono stati 126 (116 “no”, 10 gli astenuti), ma per l’istigazione razziale l’aula ha nettamente respinto la richiesta con 196 “no” (46 i “sì”, 12 gli astenuti). Dunque secondo il Senato la condotta di Calderoli è insindacabile così come sancito dall’articolo 68 della Costituzione secondo cui “i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse”. A questo punto, non essendoci stata una querela diretta (è una parte terza e non la Kyenge che lo ha portato in tribunale), l’intero impianto processuale non sta più in piedi poiché si reggeva proprio sull’aggravante di istigazione all’odio razziale. Senza bisogno di una laurea in giurisprudenza, significa che per la maggioranza dei senatori dare della scimmia a una donna africana è una opinione costituzionalmente tutelata.

L’esito della votazione non è piaciuto all’europarlamentare del Pd Cécile Kyenge: “La decisione del Senato getta un’ombra pesante sulla lotta al razzismo, proprio in un momento durante il quale populismo e xenofobia crescono per l’emergenza profughi. Ora è una questione di principio perché il messaggio che arriva dalle istituzioni ai nostri ragazzi è devastante”. Ricorrerà alla Corte europea. Come sempre accade a cose (male) fatte, nel Pd c’è sempre tempo per le critiche dei “dissidenti”. Luigi Manconi, senatore e presidente della commissione per la Difesa dei diritti umani, ha votato contro l’insindacabilità del Calderoli-pensiero: “Attraverso la comparazione tra una donna di origine africana e un orango si attua una vera e propria procedura di degradazione della persona e della sua identità”.

Insomma, trattandosi di Roberto Calderoli forse non era il caso di scomodare la Costituzione o i principi del 1789. Anche il deputato del Pd Khalid Chaouki parla di scelta sbagliata, perché quelle offese “sono razzismo e non semplice diffamazione”. La capodelegazione degli eurodeputati Pd, Patrizia Toia, è dello stesso avviso: “Il Senato ha scelto di non vedere che quelle parole non sono solo discriminatorie perché appartengono a una mentalità e a una retorica razzista mai completamente sradicata che risale al ventennio fascista, ma sono il coronamento di una vergognosa campagna razzista”. Per il M5S, il Pd avrebbe barattato il salvataggio di Calderoli con il ritiro degli emendamenti. A pensar male…