Alfano, Alfano, Alfano. A guardarlo in superficie, con quel sorrisone che si porta appresso sempre uguale, sia che presenzi a un battesimo oppure a un funerale, e con quei risultati al Viminale che per carità di patria è meglio tacerne, non gli daresti un soldo. E invece quello ti piazza un pallone in rete dopo l’altro nemmeno fosse Maradona, tanto da destare il dubbio che l’apparenza inconsistente sia solo un’astuta maschera per camuffare l’identità di un super Angelino. Alle spalle ha una pattuglia in stato di avanzata decomposizione, i parlamentari che aveva rubato a Forza Italia lo mollano al ritmo di uno al giorno, nel Paese reale quelli che se gli dici «Ncd» non sgranano gli occhi attoniti e perplessi sono un mazzetto ma lui, contando solo sulle sue personali forze, impazza su ogni fronte.

Un giorno paralizza le unioni civili, un altro impone il tetto di tremila euro sul contante alla faccia di tutti quelli, e sono legione, che ritengono la trovata una mano santa per evasori e datori di nerissimo lavoro.

Poi arriva la sentenza del Consiglio di Stato sui matrimoni gay ed eccolo di nuovo sugli scudi. Vagli a dar torto se, come ha fatto ieri, passa la giornata a complimentarsi con se stesso e a godersi soddisfatto le sperticate lodi che gli piovono addosso dalla parte più evoluta del cattolicesimo italiano: la Binetti, tanto per fare un nome a caso. Di questo passo non si può neppure escludere che Angelino riesca da solo a imporre quel cambiamento dell’Italicum che tutte le opposizioni coalizzate non sono riuscite nemmeno a sfiorare. La classe non è acqua.

E’ un mistero persino per l’insuperata bizzarria della politica italiana, l’onnipotenza di un leader che a rigor di logica e di senso comune andrebbe definito di cartone. A meno che a farne la fortuna non sia appunto l’inconsistenza, la materia politicamente flaccida di cui è costituito. La funzione utile del capro espiatorio è universalmente nota, in politica anche più che altrove. Qualche volta, però, torna comodo anche un vincitore di cartapesta, alla cui presunta forza addossare le responsabilità delle scelte che conviene non confessare apertamente. Meglio ancora se il trionfatore di paglia è un alleato come Angelino il Mattatore, tanto debole da non poter impensierire neppure alla lontanissima, da non costituire minaccia di sorta, e al quale, anzi, regalare qualche trofeo per rinforzarne la traballante sorte costituisce in prospettiva un vantaggio secco.

A Matteo Renzi, tanto per dirne una, l’idea di innalzare il tetto del contante piaceva senza bisogno di interpellare il ministro degli Interni. Il ragazzo è pragmatico, non perde tempo prezioso a interrogarsi sul colore del lavoro. Quando il medesimo scarseggia, è da sciocchi disquisire sulle tonalità di bianco o nero. Se per distribuire qualche posticino sottopagato in più c’è chi necessita di qualche comoda via d’evasione, bisogna accontentarlo. Ma si sa che tra gli elettori di centrosinistra qualche retrogrado che potrebbe risentirsi ancora c’è: meglio trovare qualcun altro alle cui irresistibili pressioni attribuire la responsabilità del cedimento.

E qualora, in un domani, il comandante in capo dovesse scoprire che la legge elettorale, pur se cucita a sua misura, rischia invece di avvantaggiare altri, perché non avvalersi ancora dei servigi di Angelino, permettendogli di agguantare un ennesimo successo? Il ministro degli Interni, a guardarlo bene, pare fatto apposta per interpretare la parte. In fondo non è così che aveva scelto di usarlo anche Silvio Berlusconi, quando lo aveva nominato Delfino da operetta?