Fin qui, nella breve ma intensa storia del partito democratico – storia tormentata già zeppa di segretari, quattro in sei anni e fra un mese arriva il quinto – il caso di questi giorni era solo un caso di scuola. Ma cosa succederebbe se davvero il leader che uscirà dalle primarie dell’8 dicembre non fosse lo stesso votato dai militanti? Sarebbe un segretario ombra, l’altro vertice di una diarchia, o solo il principale esponente di una forte opposizione interna?
Nell’unico precedente utile a fare paragoni, il congresso del 2009 che elesse Bersani alla guida del partito, tirava tutt’altra aria. Gli iscritti – in tutto erano 820.607 – lo votarono al 55,13 per cento; poi i votanti – oltre 3 milioni – confermarono la proporzione, il 53,23 contro il 34,27 dello sfidante Franceschini.

Stavolta potrebbe andare altrimenti. Alle primarie i diversi sondaggi danno Renzi fra il 70 e l’80 per cento, quindi avanti di molto agli sfidanti Cuperlo, Civati e Pittella (ma solo tre passeranno al vaglio dei gazebo).
Per i congressi dei circoli invece i dati reali affluiscono freneticamente in queste ore. Il renziano Luca Lotti annuncia che dei 17.200 voti espressi fino a ieri «Renzi è al 44 per cento, Cuperlo al 39, Civati al 14 e Pittella». A casa Cuperlo invece il pallottoliere dà altri numeri: «Gianni è in testa con il 42,1, Renzi al 40, Civati al 13,9 e Pittella al 4». La differenza si spiega con un tipico fenomeno congressuale: ciascun comitato tende a ricevere più velocemente i dati dei circoli in cui ha vinto la sua mozione. Al Nazareno i numeri sono ancora diversi. E danno Cuperlo parecchio sopra Renzi, con l’avvertenza che siamo solo al 10 per cento delle convenzioni; e con il consiglio ai cronisti di disporsi disciplinatamente ad aspettare la fine della prima fase del congresso, il 17 novembre. Renzi, favorito dal voto di opinione, chiosa: «Ride ben chi ride ultimo e dobbiamo aspettare il rush finale, la sfida che ci porterà alle primarie dell’8 dicembre, dove, ricordo, potranno votare tutti i cittadini e non solo gli iscritti».

È quasi l’opposto del messaggio che il coté cuperliano in questi giorni ripete come un mantra: i gazebo sono aperti, sì, ma solo a chi accetta di essere registrato come elettore del Pd. «Si vota il segretario del partito, e non il candidato premier». È una verità. Che però, come uno specchio rotto in due, riflette due immaginie, vere entrambe: che Renzi ha assicurato che a suo tempo rifarà le primarie per la premiership; ma che a tutt’oggi lo statuto prevede che il segretario sia anche il candidato premier.

Quello statuto, definito da D’Alema un testo «di diritto criminale», che consegna la corona al vincitore dei gazebo o, se non ha raggiunto la metà più uno dei seggi, ad uno scrutinio (segreto) della nuova assemblea nazionale. «In ogni caso lo statuto dà per pacifico che le primarie sono il turno decisivo, il giro vero», è l’interpretazione autentica del renziano professore Stefano Ceccanti, uno degli estensori del testo («gli stranamore», copyright Franco Marini). A sorpresa concorda con lui il turco Matteo Orfini, schierato con Cuperlo: «Gianni sta andando bene fra gli iscritti, ma il dato vero è quello delle primarie. Vuol dire che nel partito ci sarà una forte componente non convinta delle posizioni di Renzi, Renzi dovrà fare una sintesi. Ma non c’è un fronte da costruire per segnare una linea e dire: di là ci sono i barbari».

Ma nel fronte Cuperlo c’è chi la pensa diversamente. Come il viceministro Stefano Fassina, per il quale un risultato diverso fra primo e secondo giro «porrebbe un problema politico». Come Stefano Di Traglia (collaboratore di Bersani, autore con Chiara Geloni di Giorni Bugiardi) che pur ammettendo che un primo buon risultato di Cuperlo non trasformerebbe il nuovo segretario Renzi «in un’anatra zoppa», prevede una sorta di linea di resistenza: «Il voto dei circoli fornirà una fotografia di un popolo democratico che vuole dire la sua». E come Massimo D’Alema. Che avverte dall’Unità: «C’è una parte significativa del Pd che sostiene Cuperlo con passione e che non si è piegata a questa campagna mediatica. E comunque se Renzi dovesse diventare segretario, si troverà a gestire un partito che in buona parte dovrà convincere. Non potrà pensare di impadronirsi di un partito che in una certa misura lo osteggia». «Piegarsi», «impadronirsi», «osteggiare». Più verbi di una battaglia all’orizzonte che di una trattativa in vista di una «sintesi».