Si dice che una specialità siciliana come le sarde a beccafico sia nata dal desiderio del personale di cucina della nobiltà di imitare i loro padroni che usavano mangiare, tenendolo per la coda, un pregiato uccellino chiamato beccafico. Così la sarda, pesce povero per eccellenza reso piatto prelibato con un ripieno povero, è diventata veicolo di riscatto dei poveri. Perlomeno sul piano dei costumi alimentari.

È una bella coincidenza che le sardine, oggi, siano state promosse a simbolo del riscatto moderno.

Di un riscatto da un’invasione mediatica che ha occupato spazi, fisici e virtuali, con la violenza e la volgarità dei gesti e delle parole. Per questo il ritrovarsi fisicamente in piazza insieme ad altri che non si conoscono, senza definire prima obiettivi e programmi o stipulare patti o contratti, ha, oggi, il sapore genuino e popolare di quella ricetta. Forse anche per questo in pochissimi giorni è stato raggiunto un primo obiettivo: il monopolio mediatico della destra populista è stato intaccato dalla discesa in piazza delle sardine. Finisce, così, il primo tempo e comincia il secondo.

Poco prima che il movimento nascesse avevamo scritto che “di fronte ad una destra riorganizzata, anche le forze di sinistra saranno costrette a ristrutturarsi. Ma a sinistra mancano sia un progetto di futuro che le soggettività che lo incarnino. Serve, perciò, un #movimento parallelo #che interagisca #con #questa ristrutturazione”. (il manifesto 6 Novembre 2019).

Adesso il movimento ha pochi giorni di vita, sabato farà la sua prima prova nazionale e comincerà a discutere obiettivi e forme del suo voler essere. Sarà questo il movimento che si auspicava? Alla luce di una crescita di dimensioni e velocità prima impensabili penso che sul rapporto tra sinistra e movimento occorra riflettere superando alcuni schemi del passato. Di movimenti ne abbiamo conosciuti tanti in questi anni e tutti si sono quasi sempre arenati di fronte al dilemma se fare da pungolo ai partiti o costruirne l’alternativa. E parallelamente anche i partiti hanno oscillato tra spinte a chiudersi o ad assorbire. Oggi possiamo e dobbiamo sperare che questo rito fallimentare non si ripeta.

Partiti. La crisi è così profonda che rende per fortuna improponibile un’eventuale ambizione di assorbire o condizionare la vita del movimento. Essi sono più respingenti che attraenti ed il movimento appare consapevole che sarebbe un suicidio offuscare la sua autonomia e spontaneità.

La sinistra non può far discendere dal movimento il suo rinnovamento. Deve contare su sé stessa affrontando il problema sviluppo/ambiente/lavoro come la grande sfida sulla quale si decide il destino del mondo ed il suo.

Dovrà farlo ritrovando la cultura della distinzione tra obiettivi di lungo periodo e governo quotidiano. Se possibile magari recuperando il metodo della Programmazione pluriennale delle politiche economiche e sociali.

La vicenda recente degli interventi su fisco ed ambiente è emblematica di come non vanno affrontati questi problemi. Prima si dovrebbe decidere se destinare risorse alle politiche sociali ed alla riconversione ambientale sono priorità e costruire schieramenti sociali e politici che le condividono, dopo, e solo dopo, definire tempi ed interventi. Fare il contrario, come questo governo di necessità ha dovuto fare, snatura la politica e la sinistra. Lo dimostra la triste vicenda delle tasse di scopo. Questo compito spetta alle forze politiche e nei prossimi mesi diventa prioritario per decidere se rilanciare o chiudere questa esperienza di governo. Affascinare ed attrarre i giovani alla politica non sarà possibile senza questa svolta radicale che spetta ai partiti e solo ad essi.

Movimento. Il movimento delle sardine sembra abbastanza lontano dai caratteri fortemente identitari ed ideologici che hanno caratterizzato i movimenti passati segnandone difficoltà e ciclo di vita. Anzi la critica più diffusa che gli si rivolge è proprio su questa sua “neutralità” e sul suo essere poco politico sottolineato dai suoi esponenti. E’ questo un fatto da non leggere con le lenti della vecchia politica.

Molti di questi giovani sono impegnati nel sociale locale, nel volontariato di quartiere ed anche nel movimento mondiale Friday for future. Sono impregnati di umanesimo e solidarietà, ma il loro è un umanesimo dei tempi moderni. È una visione globale che guarda a tutto lo spazio territoriale (sensibilità ai temi dell’accoglienza e delle migrazioni) e temporale (cambiamenti climatici e prossimi 50 anni). Quindi un’idea di politica complessa e ricca, specifica ed onnicomprensiva, un elemento nuovo che va esplorato e lasciato libero di esprimersi. Un movimento che non dispone in partenza di confini ideologici, di riferimenti definiti, corre certamente dei rischi, ma ha anche grandi opportunità. Ha bisogno, però, di crescere e maturare e, quindi, di un clima civile e sociale di confronto.

Pensarlo come un movimento parallelo, al processo di ristrutturazione della sinistra politica implica che esso possa svilupparsi autonomamente con i suoi tempi e le sue modalità senza pressioni dai partiti né pressioni perché si faccia partito. “Si tratta in sostanza di pensare ad una politica nuova, una nuova modalità che si aggiunge, sostiene in parte, integra quella dei partiti” come ha scritto Michele Prospero di recente.

Saranno capaci sinistra e movimento di vivere questa sfida parallela, facendo ciascuno il suo percorso interagendo e stimolandosi, ma senza sovrapporsi, confondersi, ingerirsi? Questa è la scommessa. Difficile, certo, ma anche nuova e bella. Per non ripetere il déjà vu di movimenti che si caricano di tutte le aspettative di cambiamento e di partiti che rimangono impermeabili alle loro spinte. Un processo parallelo richiede, invece, che autonomamente partiti e movimento procedano. Senza questa sincronia il treno non potrebbe che deragliare.