Dall’alto, dalle foto satellitari, le dimensioni del disastro appaiono in tutta la loro gravità. La macchia di petrolio formatasi nel Tirreno dopo la collisione di sabato scorso tra due navi al largo delle coste della Corsica è stata fotografata dal satellite Sentinel-1A, che fa parte, con Sentinel-1B, del progetto europeo Copernicus, curato dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa).

LA MOTONAVE TUNISINA Ulisse, che trasportava autocarri e automobili, si è scontrata con la nave portacontainer Virginia, battente bandiera cipriota, e da quest’ultima si è sversato il carburante al largo di capo Corso, a nord della Corsica. Non ci sono state vittime, ma la collisione ha provocato una scia di petrolio lunga circa venti chilometri. Sebbene l’incidente si sia verificato in acque francesi, le operazioni di pulizia sono effettuate congiuntamente da Francia, Italia e Principato di Monaco, nel quadro del piano d’intervento RamogePol per la lotta contro gli inquinamenti marini accidentali nel Mediterraneo.

LA SITUAZIONE è molto seria, anche perché l’area interessata dal disastro sta all’interno del Santuario Pelagos, la rotta seguita dalle balene e da altri cetacei lungo il loro percorso nel Mediterraneo. Nell’attesa che venga fatta piena chiarezza sulla collisione tra Ulisse e Cls Virginia è evidente che la prima vittima è l’ambiente marino. Con un traffico marittimo annuale stimato a 220.000 navi mercantili, la navigazione commerciale è particolarmente intensa nel Mediterraneo occidentale. Questo vale anche per il Santuario Pelagos e le sue frontiere, dove sono presenti due degli otto “nodi di concentrazione del traffico marittimo” (Genova e Marsiglia) individuati nell’intero bacino e una trentina di collegamenti al giorno assicurati da non meno di otto compagnie di trasporto passeggeri tra la terraferma, la Corsica e la Sardegna.

L’ALLARME è stato lanciato ieri dal Wwf e da Greenpeace. «Nonostante il meccanismo di sicurezza legato a RamogePol si sia immediatamente attivato, cosa sarebbe successo se la collisione fosse avvenuta all’interno dello Stretto di Bonifacio, un’area estremamente fragile che continua ad essere esposta ad un traffico estremamente elevato?», chiede la presidente del Wwf Italia Donatella Bianchi che aggiunge: «Avremmo avuto un disastro ambientale in grado di mettere a rischio uno dei patrimoni naturali del nostro Paese, compresa l’area marina de La Maddalena».

«L’area delle Bocche di Bonifacio – dice Donatella Bianchi, presidente di Wwf Italia – è tra le zone paesaggisticamente più belle e ricche di biodiversità del Mediterraneo, con caratteristiche naturali di assoluta rilevanza ed unicità, come viene testimoniato dalla stessa istituzione della area marina protetta de La Maddalena. Si tratta, però, anche una zona di navigazione molto pericolosa, con un volume elevato di traffico di navi di ogni genere, comprese navi con carichi pericolosi (petrolio e sostanze chimiche). E come dimostra l’incidente a largo della Corsica, il pericolo non è solo legato alle navi che trasportano carichi pericolosi, ma anche alle enormi quantità di carburante che sono presenti nelle cisterne delle navi, quantità che costituiscono, di per sé, un rischio».

IN MEDIA OGNI ANNO attraversano lo stretto di Bonifacio 3.500 navi di cui (10% francesi, il 26% italiane ed il 64% battenti altre bandiere). E ogni anno sono circa cinquanta le navi alle quali viene contestata la mancata osservanza delle misure di protezione ambientale.

«Introdurre norme precise sulla protezione e sulla tutela del Santuario dei cetacei è una scelta non più rinviabile», dice il direttore di Greenpeace Italia Alessandro Giannì. «Le nostre preoccupazioni si sono avverate – aggiunge Giannì – L’incidente in Corsica è avvenuto in condizioni meteorologiche ideali e tra imbarcazioni che dovrebbero esser dotate delle migliori tecnologie. In attesa dei risultati dell’indagine che deve accertare le responsabilità, possiamo solo sperare che le delicatissime procedure per disincastrare le due navi riescano ad evitare ulteriori dispersioni di combustibile in mare e, soprattutto, l’affondamento della portacontainer».

IL MOMENTO PIÙ DELICATO sarà quando si dovranno separare le due navi, osserva ancora Gianni: «A quel punto si potrebbero verificare importanti sversamenti di idrocarburi che sarà necessario arginare. Si tratta del combustibile navale (in particolare della portacontainer cipriota) che usualmente contiene elevati quantitativi di sostanze tossiche e cancerogene. Questo incidente, purtroppo, conferma la vulnerabilità dell’area, soggetta a intenso traffico navale e funestata da ripetuti incidenti. Gli allarmi lanciati da Greenpeace e da molti altri sono rimasti inascoltati e ben pochi passi avanti si sono fatti per garantire la sicurezza dei trasporti nel Santuario Pelagos».