Chi ha ideato la norma Salva-Silvio, chi l’ha scritta, chi l’ha taciuta e inserita nel decreto poi ritirato? Cosa si sono detti davvero i ministri nel consiglio della vigilia di Natale che l’ha approvata, dato che Renzi sostiene che il testo «è stato approfondito punto per punto»? Se fosse così, non si capisce perché tanto mistero sulla genesi dell’iniziativa che imbarazza il Pd e fa felice Berlusconi. E invece no: il governo seppellisce tutte gli interrogativi sotto un’abbondante palata di sabbia.
Dopo la chiamata in correo ai ministri del sottosegretario Delrio («Quando esce un testo la responsabilità è sempre della collegialità del consiglio»), Renzi intima ai suoi di farsi i fatti loro: in sostanza lo ha fatto mercoledì davanti deputati, zittendoli con un definitivo «la manina sono io». Poi sull’ordine di reticenza ieri è arrivato perfino il timbro dell’ufficialità: alla capigruppo del senato la ministra Boschi sentenzia che «gli atti del consiglio dei ministri non sono oggetto di informativa». In pratica sono secretati.

Ma nel gruppo del Pd, che pure ha dimostrato di avere stomaco forte, la cosa non va giù. Ieri mattina al senato Massimo Mucchetti prende la parola: «Chiedo che il presidente del consiglio venga a raccontarci per filo e per segno come sono andate le cose». Mucchetti riassume implacabilmente tutte le domande che da quattro giorni mezzo mondo rivolge a Renzi: «Quale sia stato il testo del decreto fiscale licenziato dal ministero dell’Economia, quale testo sia arrivato in Consiglio dei ministri, se sia lo stesso o se abbia subito modificazioni di contenuto e, qualora tali modificazioni di contenuto siano state apportate, chi le abbia apportate e come. È possibile che non emerga niente di speciale da queste informazioni, ma è possibile anche, ed è questa la preoccupazione che mi muove, che emerga un funzionamento non perfetto della formazione delle decisioni politiche». Tradotto: c’è un suggeritore fuori dal governo?

Fra i senatori dem scoppia il panico. Era stato il presidente Zanda ad autorizzare Mucchetti a prendere parola per «svelenire il clima». L’effetto è un clamoroso autogol. Corre ai ripari Giorgio Tonini, uomo di buone maniere nella compagnia un po’ grossier dei renziani. Ma stavolta è spiccio anche lui: Mucchetti parla «in considerazione del suo ruolo importante di presidente di commissione» ma il gruppo confidava «nel senso di responsabilità e di equilibrio del collega». Invece il collega ha parlato fuori dai denti, quindi l’intervento è a titolo personale.

Le opposizioni si uniscono alla richiesta. La Lega chiede chiarezza «sul blitz natalizio». Per Sel il vero tema è l’eterno mistero del patto del Nazareno e le sue implicazioni sull’elezione del nuovo capo dello stato che, dice Loredana De Petris, «deve essere messa al riparo da tutte le operazioni e i tentativi di scambio emersi da questa vicenda». Alla capigruppo Boschi esclude senza mezzi termini che il governo vada in aula a riferire del Salva-Silvio: gli atti del consiglio non sono oggetto di informativa.

La scena si ripete alla camera, dove Pippo Civati e Arturo Scotto (Sel) si associano alla richiesta dei senatori. Ma anche Pier Luigi Bersani mette in relazione «la manina» che ha scritto la norma che anticipa il ritorno di Berlusconi alla politica attiva (norma per ora ritirata) con l’elezione del Colle. Sul fisco «non guasterebbe se Renzi spiegasse in parlamento». E ora per fugare i dubbi sullo scambio con Forza italia dovrebbe proporre Prodi: «È immaginabile ripartire da dove ci si è fermati. Non ho bisogno di dire niente altrimenti poi Prodi si arrabbia». Gli fa eco Rosy Bindi: «Bisogna ripartire da lì, dalla vicenda dei 101, da quella ferita che sanguina ancora». Prodi torna il tormentone della sinistra Pd, inutilmente il vicepresidente Matteo Orfini chiede di «non gettare nomi nel tritacarne mediatico».
Ma il pasticcio è frutto del pasticciere Renzi che, lanciando un «segnale» di apertura verso Berlusconi, di fatto ha messo in stato di massima allerta la sinistra Pd. Che ora chiede che il nome del successore di Napolitano non sia (troppo) riconoscibile come l’ennesimo frutto del Patto del Nazareno. E non sarà Prodi, ma è probabile che alla fine la sinistra Pd non sarà scontentata. Tanto ormai un impresentabile presidente da larghe intese non serve neanche più, oggi che Berlusconi, rassicurato dal «segnale» di Renzi, è pronto a votare chiunque.