Quello che importa per il cammino della legge elettorale è la tenuta dell’accordo Pd-Forza Italia, con Lega e Ap al rimorchio; per il momento l’accordo tiene. In commissione affari costituzionali non sono previsti voti segreti e i quattro partiti che sostengono il Rosatellum-bis possono contare sui due terzi dei commissari. Dunque nessun pericolo fino a quando, la prossima settimana, la proposta di riforma elettorale arriverà in aula e si misurerà la tenuta all’interno dei partiti. Il fatto che nel primo giorno di votazioni in commissione siano stati bocciati tre emendamenti di Mdp – sulle preferenze e su due varianti del sistema tedesco – non ha nulla di imprevedibile. Come non è una novità che Articolo 1 annunci battaglia contro la legge elettorale. Rilevante invece che il deputato Mdp D’Attorre accusi il Pd di «irresponsabilità in piena sessione di bilancio». Perché è sullo scostamento di bilancio che Mdp avrebbe potuto essere decisiva, come si spiega qui sopra. Ma, come ha poi precisato D’Attorre, «noi non avremo comportamenti ritorsivi».

Non è con i voti della minoranza che il Rosatellum-bis potrà cadere, siano essi di Mdp, Sinistra italiana o 5 Stelle. Ed è per questo che gli emendamenti di questi partiti sono stati studiati per indurre in tentazione i franchi tiratori di Pd e Forza Italia quando arriverà il momento dell’aula. Ufficialmente il difetto più grande del Rosatellum-bis è lo stesso per bersaniani, vendoliani e grillini: l’eccesso di «nominati» (quasi l’80 per cento secondo alcuni calcoli) conseguenza delle liste bloccate al proporzionale e delle pluricandidature. Un aspetto persino, si sostiene, incostituzionale. Ma è il meccanismo delle «finte» alleanze (perché non prevedono né programma né leader né simbolo comune) che penalizza di più i 5 Stelle, che non fanno accordi elettorali, e la sinistra, che finisce per dividersi sul nodo «con o contro il Pd». In più, secondo l’attuale testo base, Mdp sarebbe l’unica formazione presente in parlamento a dover raccogliere le firme per la presentazione delle candidature e del simbolo.

Per non incrinare l’accordo con berlusconiani, leghisti e Alfano, però, il relatore renziano Fiano ieri ha dovuto accantonare tutti gli emendamenti più importanti. Nell’insieme la maggioranza delle proposte di modifica, tanto che la commissione sarà costretta a un superlavoro oggi e soprattutto domani (bisognerà sospendere anche l’aula) per evitare ai commissari di riunirsi nel fine settimana e rispettare comunque l’appuntamento di martedì prossimo, giorno in cui il testo, se approvato, è atteso in assemblea. Contemporaneamente Fiano ha avuto una serie di colloqui con i delegati di Forza Italia, Lega e Ap per stringere i bulloni dell’accordo.

Gli emendamenti accantonati riguardano la quota di genere – attualmente è prevista l’alternanza nelle liste bloccate e che nessun sesso possa superare il 60% nei candidati all’uninominale e nei capilista al proporzionale – perché le proposte per una parità effettiva al 50% sono politicamente difficili da respingere eppure viste come fumo negli occhi da Forza Italia. Poi è stata accantonata la questione delle soglie di sbarramento, dal momento che appare di buon senso l’idea di evitare la proliferazione delle micro liste che con appena l’1% possono favorire le coalizioni; anche qui Fi è contraria. Accantonati anche gli emendamenti (tra i quali uno della minoranza orlandiana del Pd) che cancellano la ripartizione dei voti espressi per il solo candidato nell’uninominale, un sistema che abbiamo paragonato all’otto per mille alla Chiesa perché distribuisce i consensi tra i partiti della coalizione in proporzione al loro consenso diretto. Gli orlandiani hanno anche chiesto una riflessione sul voto disgiunto, che attualmente è vietato ma che non si esclude possa essere ripreso in considerazione dal Pd. Infine sono state accantonate anche tutte le proposte per ridurre il numero delle firme necessarie per la presentazione delle liste e soprattutto – e finalmente – consentire le firme elettroniche.