Non serviva la toponomastica stradale per orientarsi in città, più facile tenere in mente i nomi familiari dei santi ai quali si intitolavano le chiese e avere queste come punti di riferimento. Ce n’erano a decine sparse nel centro storico d’inizio Novecento, ancora coincidente con l’intera città che contava appena 30.000 abitanti. Lecce veniva chiamata «città-chiesa», un appellativo rimastole. Anche se non è più, soltanto, città-chiesa. Come tutti i centri storici, è stata profanata dall’apertura di locali e localetti in funzione della ristorazione diffusa. Che in un contesto urbano antico, fittamente costruito, si insediano ovunque, pure se possibile sui sagrati di quelle chiese. Da metà anni ’90 del secolo scorso il centro storico, sovraccarico di barocco, è stato scoperto in chiave turistica. E oggi una distinta signora leccese, in vista dell’agone politico elettorale di giugno che condurrà all’elezione del sindaco, rientra nella scena, compiaciuta di essere stata artefice di tale scoperta e intenzionata a restituire decoro alla propria città cominciando dalla regolamentazione delle mangiatoie urbane. Adriana Poli Bortone, già senatrice, ministra della Repubblica, pietra miliare della destra nazionale, un decennio da sindaca di Lecce fino al 2007 con successi riconosciuti anche dagli avversari e scivoloni con strascichi che hanno portato a inchieste giudiziarie, è la candidata ufficiale del centrodestra. Mira a rimettersi in sella, contendendo al primo cittadino in carica Carlo Salvemini (centrosinistra) la guida della città.

Dopo aver battuto Stefano Salvemini nel 1998, sostenuta da una coalizione compattata cerca ora il colpaccio sul figlio Carlo. Al quale, entrati in clima di campagna elettorale, sta dando dello stacanovista per la fissa che ha nel prolungare il tracciato delle piste ciclabili. Lecce detiene il primo posto in Puglia, fra i capoluoghi di provincia, per chilometraggio di piste protette. L’argomento principale per cui si è finora polemizzato in città ruota proprio intorno alla bicicletta. Eppure, aivoglia se c’è altro! Meglio nota come «lady di ferro», la Poli è espressione di una femminilità combattiva dagli atteggiamenti eleganti. Ha indossato una casacca politica, una soltanto, che non si è mai stinta al trascorrere delle stagioni e nella borsetta forse conserva ancora la tessera d’iscrizione al partito col quale fece ingresso da consigliera negli anni ’60 a Palazzo di città: il partito col simbolo della fiamma tricolore che, per l’Adriana, continua a sfavillare. Anno 2024, questa lady di ferro – una lady ormai senza età – attaccata alla politica e dunque alla vita, non prova alcuna trepidazione nel tornare sul luogo del delitto. Mentre il sindaco Salvemini, indifferente al ritorno di… fiamma della sua competitor, tira dritto, lungo le ciclovie.