Cara direttrice,

ho letto con interesse la lettera di Tonino Perna, Piero Bevilacqua e altri che ringrazio per le loro riflessioni. Pochi giorni prima del lockdown, abbiamo presentato il Piano Sud 2030, con una premessa e una conclusione: i giovani devono essere liberi di andare, ma devono avere l’opportunità di tornare; di più, il nostro compito è garantire un «diritto a restare».

Durante la pandemia abbiamo assistito a un certo ritorno al Sud, ma non quello a cui ambivamo. Tuttavia, anche il ritorno «forzato», frutto di contingenze tragiche, ci ricorda che la fuga non è un destino irreversibile.

E ora, che fare? Come offrire un’opportunità a questo straordinario patrimonio di energie e competenze che si temeva perduto alla causa del Sud? Come impedire che questo ritorno resti soltanto l’attesa di una nuova ripartenza?

La pandemia ha fatto giustizia di tanti luoghi comuni, a partire da quelli che inquinano da decenni il dibattito tra Nord e Sud, la rappresentazione per cui da una parte c’è la virtù e dall’altra il vizio, e il vizio coincide sempre con la povertà.

I cittadini italiani, tutti hanno mostrato grande senso di responsabilità, accettando sacrifici che hanno consentito di arginare il contagio.
Tra questi, anche i giovani rientrati, in larga maggioranza, hanno seguito scrupolosamente le prescrizioni delle autorità sanitarie.

Eppure qualcuno, che in loro avrebbe potuto vedere la potenzialità del domani o il riflesso delle proprie mancanze di ieri, li descriveva a mezzo stampa o sui social come «untori».

Nulla sarà più come prima, si dice, ma nessuno può sapere come sarà il dopo. Sappiamo solo che non dobbiamo tornare al mondo di ieri. Sarebbe uno spreco.

IN QUESTI MESI abbiamo mobilitato risorse senza precedenti e nuove vie di sviluppo discenderanno dalle scelte europee dei prossimi giorni. Dobbiamo essere pronti e vigili, si sta aprendo una partita che vorrebbe contrapporre sviluppo ed equità: un approccio ideologico di cui abbiamo misurato i fallimenti ma dietro cui ancora oggi si nascondono interessi potenti.

Senza giustizia sociale non può esserci ricostruzione. Senza un riequilibrio territoriale, non solo del Sud ma anche delle aree interne, non ci sarà uno sviluppo durevole, sostenibile.

LA PANDEMIA ha rivelato nuove disuguaglianze. L’innovazione, senza scelte politiche chiare, può essere anche un potentissimo fattore di esclusione sociale. Sull’infrastruttura e i servizi digitali registriamo ritardi inaccettabili. Io stesso ho richiamato più volte gli operatori della banda ultra larga alle loro responsabilità. Anche perché rischiamo di perdere fondi europei, che invece abbiamo riprogrammato con Ministeri e Regioni proprio per sostenere la digitalizzazione delle comunità, delle famiglie e delle imprese al Sud.

Lo dico perché anche così si possono creare occasioni di lavoro buono per i giovani che prima andavano a cercarlo altrove, trasformando aree marginalizzate in ecosistemi dell’innovazione: è accaduto a San Giovanni a Teduccio, può accadere altrove, ne stiamo discutendo con il Ministro Manfredi.

Lo stesso smart working, se accompagnato a nuovi diritti, compreso quello alla «disconnessione», a una più moderna e democratica organizzazione del lavoro, potrebbe diventare una forma strutturale di lavoro dei giovani meridionali, che possono restare al Sud, senza essere costretti a un difficile pendolarismo o a nuove vie di emigrazione.

O riconquistare le aree interne che, a dispetto della retorica sul «secolo delle città», non sono »piccolo mondo antico» ma luoghi in cui maturano modelli di sviluppo e di organizzazione più sostenibili, prossimi ai bisogni delle comunità. E lo abbiamo visto durante la pandemia.

Tra Legge di Bilancio e Dl Rilancio abbiamo destinato alle aree interne oltre 500 milioni, le abbiamo messe al centro della nuova programmazione dei fondi europei. Per garantire servizi ma anche per sostenere le attività economiche e commerciali.

OPPORTUNITÀ CONCRETE per i giovani, che si affiancano a strumenti specificamente rivolti ai giovani meridionali, come il potenziamento di «resto al Sud» o il «credito di imposta per ricerca e sviluppo».

Ma la verità è che, senza un’amministrazione più giovane, non potremo vincere la sfida dello sviluppo sostenibile e del digitale, al centro e nei territori.

Per anni è stato denigrato lo Stato, salvo poi riscoprirne il ruolo nell’emergenza. Ora dobbiamo tornare a dare opportunità di lavoro anche nel settore pubblico, dirlo senza timidezze: riportare nello Stato la generazione esclusa è un grande investimento.

È un impegno messo nero su bianco nel Piano Sud, servono da subito migliaia di giovani qualificati per garantire servizi e realizzare gli investimenti. E potremmo anche partire, grazie a un emendamento parlamentare, con una piccola ma significativa sperimentazione: i dottorati comunali.

LE ISTITUZIONI DA SOLE non possono farcela, devono costruire alleanze sociali. «Alleanza» è una parola chiave del Piano Sud, con cui abbiamo avviato due iniziative: una «Rete» per mettere in relazione chi è emigrato e chi sta nei territori, per far circolare progetti e buone pratiche e un «Osservatorio Sud 2030», per mobilitare la cittadinanza attiva sugli obiettivi di sviluppo del Sud e delle aree interne.

Questo è il succo della lettera-appello che voglio raccogliere: è qui la chiave per rendere i giovani meridionali protagonisti di uno sviluppo nuovo, che li renda liberi di tornare e restare nella loro terra.

Abbiamo vissuto una «lunga notte» del Sud, un’ombra lunga su tutta l’Italia, che via via ha ristretto anche altrove le opportunità per i giovani meridionali.

Ma è tempo di dire, con Rocco Scotellaro: «È fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi».

* L’autore è ministro per il Sud e la coesione territoriale