Metti un grande spazio, la Fiera del Levante, dalle suggestioni vagamente orientali, pietra bianca che si affaccia sul Mediterraneo, un quartiere intorno che sembra uscito dalle pagine di un libro di Carofiglio. E che, negli ultimi cinque anni, è stato il cuore del «possibile» rinnovamento dell’industria musicale italiana. Un posto dove gli alunni delle scuole medie potevano ascoltare le avventure umane e artistiche dei Sud Sound System, farsi trasportare nei vortici creativi di rappers e star dei talent show, scoprire istituzioni del suono come gli Area e compositori che suonano musica classica con un intimismo quasi dark come Ludovico Einaudi.

In mezzo, i responsabili dei più importanti festival internazionali impegnati in incontri con giovanissimi che avevano finalmente qualcuno cui poter sottoporre le proprie canzoni. Perché, come recitava lo slogan che il Medimex ha adottato sin dai suoi esordi, «La musica è lavoro». E questo festival, sicuramente il momento più appariscente di un meticoloso progetto chiamato Puglia Sounds ha trasmesso, con i suoi numeri da record, l’illusione che anche in Italia il linguaggio della musica fosse un territorio di condivisione di esperienze. Puglia Sounds, progetto unico in Italia, ha sostenuto grazie a fondi europei, contribuendo a rendere internazionale il suono che proveniva da questa regione.

Che, è il caso di ricordarlo, è quella della Notte della Taranta, esempio di pop festival che ha fatto di un lembo ‘demartiniano’ di sud un gigantesco resort turistico, portando le folle ad adorare etnie perdute. Puglia Sounds ha cercato di fare quello che un ente pubblico, in presenza di una tale ricchezza artistica, dovrebbe fare. Ha messo in stretta relazione la creatività con il mercato, ha sostenuto le produzioni, ha portato molte bands allo scoperto, ha fatto arrivare qui le grandi produzioni musicali, da Vasco Rossi a Jovanotti, ottenendo in cambio una straordinaria attenzione mediatica, che significa un numero di presenze sempre maggiore e la definizione di un immaginario che ha ormai un valore internazionale.

Ci sono casi emblematici di gruppi che hanno ricevuto da Puglia Sounds un contributo allo sviluppo del proprio talento e adesso sono considerati degli innovatori. L’elenco è lungo, Ma basta citare, per la world music, il Canzoniere Grecanico Salentino, che è adesso uno dei nomi di riferimento della «folk renaissanceradici saldamente legate alla terra e una fama che li porta a essere continuamente in tour in ogni angolo del mondo e Populous, il dj e produttore che fa incrociare pista da ballo e esotismo salgariano che ha conquisto le sottoculture come le pista da ballo più levigate.

Quello che è avvenuto è che è emersa una incredibile vocazione del territorio (tutto) a essere una «Isola sonante» che aveva bisogno solo di una dichiarazione di disponibilità da parte di chi, per il pubblico, gestisce la cultura.

Senza finanziamenti a pioggia, ma cercando, con difficoltà, naturalmente, un giusto equilibrio tra la ricerca e l’indipendenza dei vari progetti e la ricaduta sulla regione, che giustificasse l’investimento. Rimane, Puglia Sounds, una utopia possibile. Quella di un Sud che esce dallo stereotipo di luogo «confuso e felice» per diventare workshop permanente, dove le idee vengono messe a confronto con il mercato, ma in maniera dolce. I risultati ci sono. Se questo contribuirà a cambiare l’economia della regione, è presto per dirlo.