Una delle componenti essenziali nella formazione dell’immaginario collettivo degli italiani sono state le copertine delle riviste illustrate: La Tribuna Illustrata a partire dal 1890 e poi la Domenica del Corriere dal 1899 hanno portato nelle case del Belpaese i fatti di cronaca del momento. Una immagine a colori realizzata da grandi disegnatori tra i quali Achille Beltrame e Walter Molino con una breve didascalia occupava la prima e la quarta di copertina. Grazie a quelle illustrazioni gli italiani erano catapultati in mondi esotici, nel bel mezzo di scontri bellici, nelle cerimonie della nobiltà e nei sordidi ambienti della malavita. Con il passare del tempo e in particolare nel dopoguerra le ambientazioni si concentrarono su fatti di cronaca sensazionalistici, catastrofi, notizie bizzarre e curiosità. La vaghezza delle didascalie faceva sì che, più che al giornalismo vero e proprio, le immagini si rifacessero a leggende metropolitane. Proprio per questo costituiscono un campionario attendibile del costume e del senso comune.
In una illustrazione apparsa nel 1956 su La Tribuna Illustrata il lettore apprende che «un’orchestra jazz dava un concerto ad Amsterdam e le sue musiche si facevano di mano in mano sempre più frenetiche anzi ad un certo punto, gli esecutori e soprattutto il direttore prendevano ad accompagnarle con urla, salti, contorcimenti da isteria e l’eccitazione si comunicava al pubblico. Allora due poliziotti, credendo che il direttore fosse stato colto da un accesso di pazzia lo afferrarono, lo trascinavano nel suo camerino e qui lo sottoponevano ad una prolungata doccia fredda».
Il disegno di Vittorio Pisani ritrae il musicista con lo sguardo allucinato e l’espressione folle mentre i poliziotti lo costringono al lavandino agitando un manganello. Questa immagine, che oggi possiamo permetterci di guardare con un sorriso e un leggero disagio, in realtà dice molto sull’opinione corrente, assai più radicata di quello che si pensi, che stabilisce un legame tra il jazz e i fenomeni della possessione, degli stati di coscienza alterati e della follia.

ATTRAZIONE FATALE

Fin dal suo apparire la musica afroamericana ha suscitato sentimenti di ostilità o di attrazione in buona parte derivati da questa opinione. Non soltanto i benpensanti e bigotti di ogni latitudine vi hanno visto il pericolo dell’irrompere nella ordinata società occidentale di «pratiche selvagge» ma anche molti intellettuali, progressisti e non, hanno esaltato le sue presunte qualità primitivistiche. Naturalmente il jazz non è affatto una musica primitiva ma un prodotto della società moderna, anzi la musica moderna per eccellenza, la migliore espressione della condizione diasporica, sia essa sociale o esistenziale. Però il pregiudizio è duro a morire e ancora oggi influenza il discorso sul jazz. Le immagini posseggono una potenza nel fissarsi nella nostra mente sconosciuta al linguaggio puramente verbale e pertanto illustrazioni e fumetti costituiscono un interessante materiale di studio per verificare la persistenza dell’accostamento tra musica afroamericana e comportamenti devianti.
I complessi rapporti tra la musica e i fenomeni di possessione sono stati ben spiegati dall’etnomusicologo Gilbert Rouget nel suo Musica e trance, da poco ristampato da Einaudi, ma l’opinione diffusa che certi tipi di musica inducano, a prescindere dal contesto culturale e delle pratiche sociali, in chi li ascolta forme di possessione continua a rimanere affascinante.
Una delle ossessioni della società moderna è quella relativa al corpo. Il corpo deve essere controllato e disciplinato. Un corpo che non si assoggetti alle necessità della produzione e si abbandoni al dispendio è un corpo pericoloso. La danza, l’attività sessuale, il gioco in quanto attività che possono sottrarre tempo e energia al lavoro sono soggette a normative che hanno il compito di regolarne intensità, frequenza, spazi di azione. Il timore che, non opportunamente delimitate, invadano lo spazio della produzione è diffuso e generalmente condiviso. Uno dei caratteri più rilevanti delle musiche afroamericane è la componente ritmica che risulta immediatamente cinetica e una delle ragioni del suo immediato e pervasivo successo risiede proprio nell’essere talmente stimolante da risultare contagiosa. Le cronache del tempo sottolineano come il ragtime e poi il jazz fossero diventate una vera e propria mania e che la società fosse letteralmente posseduta dalla febbre del ballo.
Il fumetto That Irresistibile Rag di Harold Hering Knerr (1882-1949), apparso per la prima volta sui quotidiani statunitensi nel 1913, ha per protagonista un vagabondo afroamericano. Ogni volta che si mette a suonare un motivo ragtime con il suo flauto chiunque sia nelle vicinanze, essere umano o animale, è colto immediatamente dalla frenesia del ballo creando situazioni comiche i cui effetti si abbattono sul musicista. Va detto che non sempre si tratta di sventure perché se è vero che spesso il povero vagabondo rimedia un sacco di legnate altre volte ottiene ricompense o l’agognato pasto. Il tono generale delle storie, composte di sei vignette di eguale misura, è leggero e divertito. La musica più che una minaccia è una opportunità. Come molti fumetti del periodo è più eversivo di quello che sembri a prima vista. A testimonianza del successo di questo comics la compositrice Fay Parker scrisse nel 1914 il ragtime That Irresistible Rag (lo si può ascoltare nel cd della pianista Nora Hulse Cake Walks, Two Steps and Rags by Women Composers).

SUPEREROI

Facendo un salto di cinquant’anni arriviamo al 1962 quando appare l’episodio The Carvern of Deadly Spheres! della serie Justice League of America dove agiscono in squadra Atom, Aquaman, Batman, Flash, Green Arrow, Green Lantern, J’onn J’onzz, Snapper Car, Superman e Wonder Woman. In quella storia devono vedersela con il Maestro, il cattivo di turno che diffondendo la sua musica attraverso altoparlanti costringe tutti a ballare senza che ci si riesca a fermare.
Cittadini, forze dell’ordine e giustizieri in calzamaglia sono resi inermi dalla possessione e non possono opporsi alle rapine del Maestro. Abbiamo l’occasione così di vedere i supereroi catturati da passi di giga o dalla danza dei dervisci rotanti. Su un battello la musica è suonata da un quartetto di musicisti jazz e Flash è rapito dalla Buck and Wig, la danza antesignana della tap dance diffusa attraverso i vaudeville e i minstrel show. Quando però i nostri supereroi andranno a catturare il Cattivo nella caverna dove si è rifugiato, opportunamente muniti di tappi per le orecchie, dovranno scoprire di essere stati ingannati. A indurre la danza sfrenata era un fascio di raggi ad alta frequenza che agiscono sui centri motori del cervello e la musica era stata solo una copertura per attirare i supereroi nel tranello. Insomma: meglio non fidarsi delle apparenze anche quando si tratta di un accostamento che sembrerebbe scontato come quello tra musica e possessione.

MANGA

Tutti noi abbiamo sperimentato come un ascolto particolarmente concentrato possa agire profondamente sulla nostra emotività. In generale, con o senza l’assunzione di droghe, la musica ha il potere di farci provare emozioni e in alcuni casi di spalancare la nostra percezione verso sensazioni nuove e sorprendenti. L’ascolto della musica è un buon atto di ecologia della mente perché ci induce a immaginare l’altro da sé.
Ascoltando la musica abbiamo l’impressione di accedere a livelli di comprensione superiori e sperimentare parti della nostra mente a noi ignote. Il rapporto perciò tra musica e stati di coscienza alterati è forte e le suggestioni che suscita sono resistenti al tempo e alle mode. Su questa idea è basato il manga Astral Project scritto da Marginal e disegnato da Syuji Takeya uscito in Giappone tra il 2005 e il 2007 e tradotto in Italia da Jpop.
Il protagonista del fumetto scopre che ascoltando un cd con una registrazione inedita del sassofonista Albert Ayler sperimenta un viaggio extracorporale. Il ragazzo si stacca dal suo corpo e vola nel cielo della città dove farà incontri incredibili. La vicenda è lunga e complessa e non vale la pena qui raccontarla per intero se non per sottolineare come il jazz venga raccontato come un dispositivo in grado di attivare potenzialità inespresse. La scelta di Albert Ayler è significativa in quanto esponente di primo piano di quella tendenza del free jazz che punta molto sull’elemento dionisiaco e sensuale. Albert Ayler ha inoltre una vicenda biografica perfetta in quanto morto suicida a seguito di gravi problemi mentali. Nel fumetto leggiamo che: «Un giorno di novembre del 1970 (…) lo stesso giorno in cui lo scrittore Yukio Mishima ha compiuto il suicidio rituale nel quartier generale delle forze di autodifesa di Ichigaya (…) il cadavere di Ayler fu trovato a New York, nell’East River (…) erano delle menti superiori? O dei pazzi? Inutile chiederselo… entrambi avevano oltrepassato un confine…». La fortuna del mito che vuole genio e sregolatezza indissolubilmente legati non conosce rallentamenti. Se poi la sregolatezza sconfina nella follia il mito si rafforza. Basterebbe guardare all’odierna invasione di libri, film e fumetti sul pittore Vincent Van Gogh.
Nel jazz non sono poche le biografie dei suoi maggiori eroi a essere costellate di problemi psichiatrici. Condizioni sociali di razzismo e emarginazione, uso smodato di alcol e stupefacenti, hanno indubbiamente facilitato l’emergere di tali problemi. E la mitologia del jazz se n’è imbevuta. Tutti i jazz fan conoscono la celebre versione di Lover Man incisa sull’orlo del collasso psicofisico da Charlie Parker e che è citata immancabilmente in ogni opera che lo riguardi come, ad esempio, la biografia a fumetti Charlie Parker. Prima il jazz era ballabile poi venne «bird» di Angelo Leonardi e Gaspare e Gaetano Cassaro (Ottaviano, 1980). Gravi disagi psicologici e ricoveri in istituti psichiatrici hanno avuto anche Bud Powell, Charles Mingus e Thelonious Monk. Su quest’ultimo è appena uscita una magnifica graphic novel, Monk! Thelonious, Pannonica, and the Friendship Behind a Musical Revolution (First Second, 2018) scritta e disegnata da Youssef Daoudi che ne ripercorre la vita incrociandola con quella dell’amica Pannonica de Koenigswarter senza reticenze o sciocche mitizzazioni dei suoi problemi.

LEGGENDA

Però la figura che più di tutte è, non solo attraversata, ma letteralmente contenuta nell’ambito della follia è quella del cornettista Buddy Bolden. Nato a New Orleans nel 1877, già nel 1895 è alla testa di una propria band. Di lui si dice che avesse un suono così potente che «lo si poteva udire a venti chilometri di distanza, nelle notti stellate». La sua leggenda si è costruita nel tempo grazie alle testimonianze orali di musicisti come Bunk Johnson e Jelly Roll Morton, quest’ultima, come scritto su Alias dello scorso 24 agosto, finalmente ora disponibili al pubblico italiano grazie alla casa editrice Quodlibet che ha tradotto Mister Jelly Roll. Vita, fortune e disavventure di Jelly Roll Morton, creolo di New Orleans, «Inventore del Jazz» dell’etnomusicolgo Alan Lomax. Imprecisioni e lacune di quei racconti sono stati corretti dalla precisa ricerca storica di Donald Marquis che In Search of Buddy Bolden ne ha ricostruito la vicenda attingendo a documenti inediti. Sappiamo che fu uno delle figure più rilevanti della transizione dall’insieme delle musiche che venivano suonate a New Orleans al jazz. Uso delle blue note, vocalizzazione dello strumento, accentuazione delle sincopi; in poco parole un pioniere dell’improvvisazione jazzistica. Secondo Morton era «un ragazzo dalla pelle non troppo scura e veniva da Uptown. Beveva tutto il whiskey che riusciva a trovare, non aveva mai messo un colletto e una cravatta, teneva la camicia aperta così che tutte le ragazze potessero vedere la sua canottiera di flanella rossa, era sempre in giro a divertirsi. Buddy Bolden è stato il più potente trombettista della storia (…) Fu il più energico “soffiatore” dopo l’arcangelo Gabriele». Bolden si esibiva nei locali malfamati, nei parchi e nelle street parade. Proprio dopo una di queste parate, in occasione del Labour Day, nel 1907 collassò e fu ricoverato in manicomio, il Louisiana State Asylum for the Insane a Jackson, dove visse fino alla morte, nel 1931.
Il verbale di ricovero annota che Bolden era «indigente, sporco, sconclusionato e registrato come manovale». Di lui ci rimangono un ritratto e una foto della sua band. La sua musica non è mai stata registrata. L’esiguità se non la mancanza totale di documenti hanno alimentato, come sempre avviene in questi casi, la sua leggenda. Il romanzo Buddy Bolden’s Blues (1976) dello scrittore canadese Michael Ondaatje ne ha allargato la fama al grande pubblico. La suggestione maggiore nel romanzo proviene da quanto aveva raccontato Jelly Roll Morton a Alan Lomax ossia che Bolden fosse impazzito a furia di soffiare nella tromba. L’idea che un musicista impazzisca per effetto di una dedizione così totale alla sua arte da essergli fatale è assai più interessante di quella di una decadenza per effetto di un prolungato alcolismo. Proprio il racconto di quella ultima parata costituisce il libro a fumetti Let that Bad Air out. Buddy Bolden’s Last Parade (The Porcupine’s Quill, 2007) del disegnatore canadese Stefan Berg. Realizzato con la tecnica dell’incisione e senza testo, il libro racconta in settanta tavole la parata per le strade di New Orleans fino alla crisi e alla caduta. La particolare tecnica usata enfatizza la drammaticità del racconto oltre a evocare il periodo storico. Berg infatti si rifà ai libri del belga Frans Masereel, pubblicati in Europa dopo la Prima Guerra Mondiale, dal forte contenuto sociale e politico antiborghese e pacifista, considerati come antesignani della graphic novel per come usavano la narrazione per immagini trattando temi realistici.

CATATONICI

Concludiamo questa carrellata con una breve storia del disegnatore Ron Regé Jr., esponente del fumetto neo-psichedelico. Il fumettista ha dedicato alcune brevi storie di una tavola a Sun Ra. Il compositore, pianista e bandleader, tra i maggiori esponenti del free jazz, è oggi oggetto di culto, basato in gran parte sull’immagine (che peraltro lui si è sapientemente costruito) di musicista bizzarro la cui musica sarebbe folle, nel senso di completamente libera dalle costrizioni e convenzioni. La follia come via d’uscita dal conformismo. In Sun Ra’s «Advice for Medics» (The Cartoon Utopia, Phantagraphics Books, 2012) si racconta un episodio della biografia del musicista. Sun Ra viene invitato a suonare a una seduta di musicoterapia in una clinica psichiatrica di Chicago. Il pubblico è composto da catatonici e schizofrenici. Naturalmente suona la sua solita musica. A quel punto una donna, che non aveva mai parlato né si era mossa per anni, si alza e lo apostrofa urlando «ma questa tu la chiami musica?». Più chiaro di così.