Lo spettro del dumping asiatico non demorde. A rischio, questa volta c’è il riso italiano con centinaia di posti di lavoro in bilico (chiusa, dall’inizio della crisi, un’azienda su cinque) e con una qualità imbastardita, a insaputa dei consumatori, dai cereali cambogiani o birmani, agevolati – sostiene Coldiretti – «dall’azzeramento dei dazi doganali da parte dell’Ue dalle sperequazioni all’interno della filiera». Senza, inoltre, garanzie in termini di sicurezza alimentare, come l’utilizzo di pesticidi, vietati nelle campagne europee.

«Non vogliamo barriere, ma giocare ad armi pari» ha detto Roberto Moncalvo, presidente nazionale di Coldiretti, intervenendo a Torino, in piazza Castello, alla manifestazione promossa dai risicoltori piemontesi a difesa del «made in Italy». Davanti alla sede della Giunta regionale, è stata ricostruita una vera a propria risaia e distribuiti a manifestanti e cittadini assaggi di insalata di riso. In mobilitazione, da quasi una settimana, migliaia di agricoltori hanno protestato anche a Bologna, Milano, Venezia e in Sardegna. Campi di riso trasferiti in città, mondine in barca sul Canal Grande, piatti serviti sul posto, distribuzione di sacchetti di riso.

Tramontato dopo il boom economico l’immaginario delle mondine di Riso Amaro, la risaia è rimasta negli anni un luogo di lavoro e una macchia di colore, dal verde al giallo, che copre una lunga striscia della Pianura padana, dal Vercellese al Polesine. L’Italia – riporta il dossier di Coldiretti – è ancora il primo produttore europeo di riso su un territorio di 216mila ettari e opportunità di lavoro per oltre diecimila (la maggior parte in Piemonte) famiglie tra dipendenti e imprenditori.

Nei primi tre mesi del 2014 le importazioni dalla Cambogia e dalla Birmania hanno fatto segnare un aumento del 754% rispetto allo scorso anno. In pericolo ci sarebbe anche la salute dei consumatori: il sistema di allerta rapido Europeo (Rasff) ha effettuato, nel primo semestre dell’anno, quasi una notifica a settimana per riso e prodotti derivati di provenienza asiatica per la presenza di pesticidi, non autorizzati, e assenza di certificazioni sanitarie.
L’azzeramento dei dazi, per aiutare i Paesi in via di sviluppo, ha favorito l’insediamento di multinazionali che hanno fatto incetta di terreni per coltivarci riso, senza tutele del lavoro, oltre a quelle sanitarie e ambientali.

Quali sono gli obiettivi della protesta? Il presidente Moncalvo spiega al manifesto la piattaforma: «Primo, l’applicazione a tutela dei consumatori e dei produttori della clausola di salvaguardia dell’Ue nei confronti delle importazioni. Secondo, vista l’assenza di trasparenza nella filiera, non sappiamo da dove arriva il riso che mangiamo, chiediamo l’obbligo di indicarne in etichetta su ogni confezione la provenienza e una nuova legge (l’attuale è del 1958) che regolamenti il commercio interno. Poi, l’istituzione di una unica borsa merci, invece delle tante che “inventano” prezzi». Martedì Coldiretti e produttori incontreranno il ministro dell’Agricoltura Martina.