La rete è ormai precipitata sulla terra. L’uso superficiale del mix di linguaggi vecchi e nuovi – che chiamiamo per semplicità web 2.0 – è arrivato in strada, ha contagiato un pezzo di mondo intellettuale, colonizzato il confronto politico mainstream, ha smesso di essere soltanto una bolla virtuale. Ciò produce effetti concreti e rapidissimi. È accaduto di recente. La demonizzazione delle Ong operanti nel Mediterraneo è partita da un video virale, poi ha trovato sponda in Striscia la Notizia e Luigi di Maio e infine è approdata ai tavoli strategici del Viminale. Di questi fenomeni si occupa La Gente. Viaggio nell’Italia del risentimento (Minimum Fax, pp. 362, euro 18), libro con cui il giornalista Leonardo Bianchi raccoglie anni di studi e osservazioni di un fenomeno che, adottando una definizione ancora sperimentale ma urgente, viene chiamato «gentismo».

BIANCHI PARLA di un tema globale, è impossibile non pensare alla vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti. Ma nel paese che ha inventato la Lega e Berlusconi, questa storia assume caratteri peculiari. Il titolo rimanda direttamente a «La Casta», il mega-seller figlio di una campagna stampa messa in piedi anni fa dal Corriere della Sera. Secondo alcuni testimoni, il tutto era funzionale alla discesa in campo dell’ennesimo imprenditore da contrapporre ai «politici di professione». Come è noto, se ne avvantaggiarono Grillo e Casaleggio, che rimodularono la loro comunicazione sui temi degli sprechi della politica corrotta. Se già è difficile definire il concetto di populismo, non è affatto semplice cogliere l’essenza del gentismo. Obbligati ad una certa approssimazione, diremmo che se il populismo è la capacità di costruire un popolo sul quale poi esercitare sovranità, il gentismo è una sua variante. Muove i primi passi nelle piazze microfonate inventate da Michele Santoro ai tempi di Tangentopoli e poi traslocate nei preserali a tema unico (immigrati e rom) di Mediaset come dai comizi su YouTube di leader autoproclamatisi voce della «gente».

IL CAPO GENTISTA usa i media per dialogare col suo popolo, ma è al tempo stesso consapevole del fatto che il suo discorso è impossibile da disarticolare perché non ha, e non può avere, nessuna linearità. È una narrazione sincretistica e disarmonica, priva di ogni consequenzialità. Solo così, ad esempio, è possibile spiegare per quale motivo Yair Netanyahu, figlio del premier israeliano, abbia potuto diffondere via social la paccottiglia antisemita sul miliardario ebreo Soros come burattinaio occulto del mondo. O capire come, per tornare in Italia, ad un convegno sui beni comuni si sia finiti a discutere anche della bufala della Hazard Circular, una lettera tra banchieri scritta al tempo dell’abolizione della schiavitù negli Usa, che conterrebbe il disegno del governo della moneta come forma più sottile e subdola di sottomissione.

IL GENTISTA può infischiarsene delle contraddizioni, attinge dall’estrema destra e dall’estrema sinistra, si appiglia ai cardini del liberalismo e al tempo stesso sventola lo spettro di una qualche dittatura stalinista e/o nazista. Grazie alle micro-nicchie di cui è composto l’audience cui ogni gentista si rivolge, il suo argomentare sarà composto da brandelli di storie rimescolate alla bisogna. Siamo oltre le fake news: è lo spappolamento della verità.
Il tema comporta due rischi, opposti e speculari, che Leonardo Bianchi evita con perizia. Da un lato, si potrebbe cedere alla tentazione di porsi su di un piedistallo, inarcare il sopracciglio e giudicare con scalpore lo sgrammaticare della «ggente». D’altro canto, c’è il pericolo parallelo di blandire questa parodia della rivoluzione. Questo secondo atteggiamento, a ben vedere, è ancora più elitario del primo, è animato dalla pretesa di indirizzare gli umori della gente dall’alto di una qualche posizione d’avanguardia, manovrando le leve della comunicazione e della tattica. Bianchi bada all’osso, come quando ripercorre l’origine del fantomatico Piano Kalergi, volto a sostituire le popolazioni occidentali con masse di schiavi meticci.

FINO A POCHI ANNI FA argomento da neonazisti, oggi quel testo viene citato con piglio serioso dal sedicente marxista Diego Fusaro (vero filosofo del gentismo, apprezzato da xenofobi e indignati qualunque, ben introdotto nei salotti televisivi e pubblicato dalle grandi case editrici progressiste).
Si sarà capito: questo non è un libro sul web o sulla comunicazione, contiene pagine scritte sull’asfalto rovente, che raccontano il tentativo neofascista di prendersi le periferie romane modulando il discorso gentista. Dulcis in fundo, documenta le tattiche gentiste sul web di certa comunicazione renziana. Ennesima prova del fatto che i primi gentisti non erano bizzarri agitatori ma pionieri esponenti di una nuova mutazione della politica dopo la fine della rappresentanza