Habemus papam e di conclavi così lunghi non se ne ricordano neppure in Vaticano. Sui contenuti del decretone emanato ieri la politica italiana ed europea discute e litiga, in un certo senso «al buio», da quattro mesi.

Il testo non è definitivo. La conversione in Parlamento non sarà una scampagnata e solo dopo quel passaggio le misure miracolose del governo avranno fisionomia definitiva. Il senso della sfida gialloverde è però già chiaro: il governo ha deciso di rischiare tutto. Sia pure ridimensionate dai tagli imposti dall’Europa le misure promesse, pur se limate, depotenziate e sottoposte a vincoli di ogni tipo ci sono tutte.

Accompagnate da clausole di sicurezza e di salvaguardia che costituiscono un’ipoteca pesantissima. Se il ritorno economico non sarà almeno in parte vicino alle mirabilie ipotizzate sarà un disastro per il governo, per la maggioranza e per tutto il Paese. Tanto più se la risposta dell’elettorato alle elezioni europee non sarà quella attesa e prevista o se, come è invece del tutto prevedibile, premierà una delle due forze di governo penalizzando l’altra e smantellando così quel poco di coesione rimasta nella maggioranza. È il paradosso italiano: un governo molto forte nei consensi e nelle attese dei cittadini e degli elettori e che è tuttavia fragilissimo nella sua struttura interna, esposto a tempeste d’ogni tipo sul fronte dell’economia e che deve pertanto portare alle estreme conseguenze un gioco d’azzardo tra i più rischiosi.

Ridimensionare la manovra evitando così la minaccia di doversi rimangiare tutto nel giro di un anno o di dover pagare un prezzo nella prossima legge di bilancio sarebbe peraltro stato impossibile. A renderlo tale è la natura stessa di una maggioranza che non è una coalizione, in grado di scegliere le priorità, ma un patto tra forze diverse che impone di tenere in perfetto equilibrio le esigenze dei due soci. Costi quel che costi e rischia di costare molto.

Quel limite costitutivo del governo, che ha fatto più volte capolino sinora, emergerà nei prossimi mesi in tutte le sue maestose dimensioni.

Perché le elezioni europee già costringono i due partiti di governo a distanziarsi ogni giorno di più. Perché arriveranno al pettine i veri e insanabili punti di conflitto: il modello di sviluppo, a partire dalla Tav e dalle trivelle, e una legge sulle autonomie che penalizza le regioni in cui il Movimento 5 Stelle è più forte a vantaggio di quelle su cui sventola la bandiera leghista. Ma anche e forse soprattutto perché, a partire dalla conversione del decreto, si tratterà di tradurre in fatti e in spese quotidiane le misure promesse per mesi e diventate ieri decreto. E’ probabile che la luna di miele sia finita proprio con la presentazione di quel decreto.