Wim Wenders ha firmato uno dei filmati più struggenti che siano mai stati realizzati su un cineasta: Nick’s Movie, Lightning over Water, e a suo tempo più d’uno ritenne quasi pornografica quell’insistenza nel filmare Nicholas Ray morente. Il documentario Walking with Red Rhino di Marilena Moretti rievoca immediatamente il lavoro di Wenders. Prima di tutto perché è citato esplicitamente, è Alberto Signetto, protagonista di questo lavoro, che ricorda come Nick dicesse «cut» e Wim replicasse «don’t cut» diverse volte. Non si tratta di puro citazionismo cinefilo, di cui Alberto era pervaso, purtroppo si tratta di una situazione analoga: nel 2013 un cancro, la bestia, ha aggredito Alberto (scomparso nel 2014), che aveva intrapreso con Marilena questo sodalizio documentario.

Prima sono i chili che se ne vanno, poi la speranza, salvo quei sussulti preziosi che ci lascia come eredità nel decidere il «cut» o nelle folli riprese di un’emorragia devastante con tanto di rinoceronte rosso piazzato in campo. Alberto è stato, tra le tante cose, prima che cineasta, documentarista, poeta, cinefilo, intellettuale distributore del primo Wenders (con la coopArtkino) e estimatore di Ray, quindi c’è una sorta di amaro compiacimento nell’invitare a non avere pietà. Sottolineato anche dall’escursione nel cimitero di Mazzè dove la tomba di famiglia già prevede il luogo dell’ultima destinazione.

Quel rinoceronte rosso comprato al Beaubourg, divenuto simbolo della sua società produttrice, ma anche molto di più: «Mi riconosco in questo animale cocciuto, grosso, abbondante, poco addommesticabile, infido. E poi ogni tanto dà la carica alla jeep dei bianchi, anche se la jeep è più grossa e sa che perderà» dice Alberto, perennemente sovrappeso, rosso di formazione, testardo nell’andare dritto per la sua strada senza opportunismi, compromessi, scorciatoie o patente.

Ecco si potrebbe dire che ha vissuto senza patente, pronto a inseguire i sogni come collaboratore di Anghelopoulos, Villi Hermann, Jean Rouch, come intervistatore complice di Raul Ruiz e Robert Kramer. Ha scherzato su se stesso con Riflessioni sull’alluce, ha ripreso i Rolling Stones a Torino nel 1982 per conto della Rai: «C’è anche Bowie, riprendiamo?” chiede Allberto. «Ma chi lo conosce!» è la replica che non ammette repliche.

A Barcellona riprende i primi Liftiba, dopo i Righeira, poi c’è quel gioiellino che è Weltgenie, sei minuti di carrello indietro all’interno del Lingotto, prima che venisse trasformato. La Rai prima lo vuole, gratis, e lui non lo dà. Poi lo compera, ma pagano a minutaggio si lamenta ineffabile Alberto. Nato a Cordoba, in Argentina, fratello di Sandro, poi rientrati con la famiglia a Mazzè, nel canavese, la mamma lo presentava come «questo è mio figlio che è sempre in giro» e qualcuno chiedeva: «Fa il camionista?». Arguto, colto, senza un soldo, aggrappato ai libri e ai film, come epigrafe dice:«Io ho amato tanto punto».

Doveroso, bello e commovente che, dopo Torino, anche il Bergamo Film Meeting (proiezione venerdì 13, cinema San Marco) abbia ricordato un grande, e grosso, appassionato di cinema.