Gianni Ferrara (il manifesto, 26/7/15) ha focalizzato con chiarezza la problematica sovrastruttura istituzionale dell’euro, un contesto «rigidamente compattato con la struttura economica su cui poggia», ovvero quella del libero mercato. I rispettivi Trattati europei ne hanno proclamato l’assoluta sovranità «munendolo delle forme idonee e dei modi efficaci per esercitarla», come possiamo constatare attualmente nel caso greco, dove l’euro si è rivelato proprio quell’«arma di repressione e di distruzione di massa» di cui parla Ferrara.

Questa deriva dovrebbe essere un campanello d’allarme per ogni sinistra europea e in particolare per quella che in Italia cerca di ricomporsi. Tutti i dati statistici dall’Istat allo Svimez – oltre all’esperienza di milioni di precari e disoccupati – ci indicano che l’Italia non è lontana dalla situazione greca (pur tenendo presente le differenze di scala ecc). E dall’establishment tedesco apprendiamo che esso intende accentrare ulteriormente nelle proprie mani la governance finanziaria europea, come presunta necessità per una maggiore intergrazione politica dell’Ue (Cfr. la relazione di Romano Prodi di cui ha scritto Valentino Parlato). Se non si mette un freno a simili soprusi e se non si riesce a trasformare questo disordine economico riorganizzando il lavoro e la distribuzione del reddito, i nostri figli e nipoti lavoreranno in e a condizioni asiatiche.

Che fare? Magari iniziare a mettere in questione ad alta voce il sistema ricattatorio del debito pubblico, che non è un sintomo della crisi, ma è il meccanismo stesso che garantisce ai creditori ingenti interessi e profitti. I quasi 12 bilioni di debito complessivo degli Stati Ue generano ogni anno almeno 2 bilioni di ulteriore indebitamento pubblico per poter pagare interessi e ammortamenti ai creditori. Ed è questo che crea l’esigenza di dover “risparmiare” a spese dello stato sociale in Europa.

La ricchezza privata in Germania è aumentata dal 2000 del 50% – mentre i salari reali sono diminuiti – eppure non esiste più dal 1997 una tassa patrimoniale. Per non parlare dell’Italia. E somme ingenti non solo del debito pubblico greco si trovano nei bilanci di Konzern come Siemens, Bmw, Mercedes, Audi o Krauss-Maffei/Wegmann e hanno finanziato per esempio l’acquisto di sottomarini e panzer tedeschi da parte di precedenti governi greci dalla Germania per miliardi di euro con ampi margini di corruzione. E per questo oggi i greci e domani gli italiani dovrebbero accettare ulteriori tagli a pensioni e sanità? Ma finora la Grecia o meglio Syriza è rimasta sola di fronte alla Troika, non c’è stata una incisiva solidarietà da parte dei cittadini europei, finora prevalgono rassegnazione o paure di discesa sociale gestite per lo più dalle destre populiste.

Qui le sinistre divise e i sindacati hanno davanti un ampio spazio d’azione per ricostruire una nuova coscienza politica. Ma tra i primi compiti per una ricomposta sinistra politica e sindacale si impone a livello europeo la convocazione di una Conferenza sul debito pubblico in cui si dovranno riesaminare le diverse situazioni e posizioni debitorie degli Stati interessati (ovvero di tutti), compresa la Germania, che potrebbe cogliere l’occasione per sistemare finalmente i conti ancora aperti delle ingenti riparazioni di guerra non corrisposte (negli anni lontani della guerra fredda) nei confronti non solo della Grecia, per le quali lo storico Karll-Heinz Roth ha elaborato un dettagliato programma di risanamento. I circa 90 miliardi a cui ammonta oggi la somma attribuita dagli Alleati alla Grecia nel 1946 come compenso per i danni subiti dalla Germania nazista, ma mai pagata, potrebbero essere garantiti dalla Germania odierna tramite un trasferimento di parte delle ingenti riserve auree tedesche. Ne guadagnerebbe anche l’immagine pubblica della Germania nel mondo.