Il primo banco di prova, per Matteo Renzi, arriva subito. Alfano chiede tempo, ufficialmente per mettere a punto con massima precisione tutti i punti del programma. In realtà per condurre una di quelle trattative mercanteggianti che somigliano come un goccia d’acqua al braccio di ferro. La fiducia, prevista per martedì, slitta così a data da destinarsi. Ma Renzi non vuole andare oltre giovedì prossimo. Da una settimana di trattative col bilancino, la sua immagine uscirebbe maciullata. Nei prossimi tre giorni, dunque, Alfano metterà sul piatto della bilancia tutto il peso dei suoi voti determinanti al Senato. Renzi si prepara a rispondere minacciando il ricorso immediato alle urne, convinto che i «diversamente berlusconiani» non possano tirare la corda sino a rischiare elezioni dalle quali uscirebbero distrutti.

Le richieste dell’Ncd sono esose, dettate in egual misura dalla voracità di chi mira a occupare quante più caselle possibile e dalla paura di chi sa di potersi fidare dell’alleato un po’ meno di zero. In primo luogo Alfano reclama la blindatura della maggioranza: nessuna entrata di nuovi partiti che sbilancerebbero a sinistra l’esecutivo, ma in realtà il veto comprende anche l’eventuale ingresso di singoli parlamentari provenienti dalle file di Sel o del M5S, anche quello sarebbe troppo. Poi naturalmente esige la riconferma per se medesimo del ministero degli Interni: è disposto a rinunciare alla vicepresidenza del consiglio, ruolo del resto più simbolico che altro, non al Viminale. Va da sé che del pacchetto fanno parte anche le poltrone intoccabili di Lupi ai Trasporti e della Lorenzin alla salute, ma anche questa è solo la punta emergente dell’iceberg. I centristi mirano infatti a ottenere una quantità di deleghe, per esempio quelle che permetterebbero di gestire i centri contro la violenza sulle donne, con tanto di cospicui fondi già stanziati. Quei posti, insomma, che garantiscono controllo sull’orientamento politico concreto del governo. Alfano chiede anche che Renzi rinunci a quell’interlocuzione privilegiata con Berlusconi che ha già partorito il progetto di legge elettorale. Le voci, diffuse ieri dal Corriere e smentite solo in serata da Guerini a nome della segreteria Pd, di un patto segreto tra il sindaco di Firenze e il fiorentino Denis Verdini per garantire, se neccessario, un «soccorso azzurro» per il governo Renzi partono in tutta evidenza dal Nuovo centro destra. Rivelano la paura che il segretario del Pd, coadiuvato in questo da Napolitano, miri a depotenziare il peso dei centristi costruendo un sistema di «maggioranze variabili» in cui il governo, su singoli provvedimenti, possa di volta in volta ottenere, se necessario, l’appoggio della sinistra o quello di Fi. Certo, nel caso Alfano potrebbe sempre provocare la crisi, quindi le elezioni, e difficilmente oserà farlo.

Le parole di Berlusconi all’uscita della consultazione, quasi un impegno a votare i provvedimenti su cui sarà d’accordo, non devono aver rassicurato i leader del Ncd, convinti che il patto tra Renzi e Verdini esista e che passi per la riconferma di Catricalà alle comunicazione e per la nomina di un ministro della Giustizia gradito ad Arcore: dunque non Vietti. Quasi certamente Alfano manterrà la poltrona del Viminale. Altrettanto probabilmente non otterrà le altre rassicurazioni che chiede, in particolare la rinuncia all’asse con Berlusconi.

La trattativa con i centristi non è il solo nodo aggrovigliato che Renzi deve sciogliere. La casella centrale, quella del ministero dell’Economia, è ancora vacante: alla scelta di Renzi si potranno anticipare gli orientamenti del suo governo. Ieri ai candidati già noti, Bini Smaghi, Lucrezia Rechlin e Fabrizio Barca, si è aggiunta una nuova voce, forse fantasiosa ma suggestiva. Perché non affidare quel ministero a Romano Prodi, che di lì spiccherebbe poi il volo per il Colle? Infine il ministero del Lavoro. In corsa ci sono Guglielmo Epifani e Tito Boeri, ma si parla anche di Pietro Ichino, l’opzione più sgradita alla sinistra. Anche da quella scelta si indovinerà che tipo di politiche del lavoro vuol fare Renzi.