George Balanchine e Alexei Ratmansky, un coreografo del passato, uno del presente, portatori della danza nel mondo, dalla Russia agli States. Balanchine, scomparso nel 1983, fondatore del neoclassicismo e del balletto americano del Novecento, formazione al Marinskij di San Pietroburgo prima della Rivoluzione del 1917, nome chiave in Europa dei Balletti Russi di Diaghilev degli anni Venti, artefice del New York City Ballet. Ratmansky, nato a San Pietroburgo, direttore del Balletto del Bolshoi dal 2004 al 2009, attualmente coreografo residente dell’American Ballet Theatre di New York.

Se ne parla in occasione della presenza simultanea di due delle loro opere al Teatro alla Scala in questi giorni: Sogno di una notte di mezz’estate di Balanchine, in scena ancora il 12, 17, 22, e Lago dei cigni nella strepitosa versione di Ratmansky in ritorno in teatro da stasera fino al 21 per otto repliche.
Balanchine e Ratmansky sono entrambi innamorati dell’arte del maître dei maître francesi, Marius Petipa, che a fine Ottocento fu il padre del Balletto del Teatro Mariinskij, autore di opere culto sulla musica di Ciajkovskij come Bella Addormentata e Lago dei cigni.

Balanchine, il maestro della danza come arte di puro movimento, creatore di titoli di adamantina astrazione, si riappropria della narrazione nel 1962 con A Midsummer Night’s Dream, da Shakespeare, stregato dalla partitura fiabesca di Mendelsshon. Perché, astratto o narrativo che sia il contesto, la musicalità è la chiave dello stile Balanchine.
Regina delle fate alla prima, Nicoletta Manni, prima ballerina talentuosa per tecnica e eleganza, in coppia con l’affascinante Nicola Del Freo nel ruolo di Oberon e con il bravo Marco Agostino come Cavaliere.

Manni apre stasera anche la ripresa del Lago dei cigni di Ratmansky, insieme a Timofej Andrijashenko. È un Lago che torna a Petipa non per polveroso gusto museografico, ma per riscoprire la bellezza di uno stile fatto di gambe non più alte di 90°, di retirés al polpaccio, di strepitosi virtuosismi in velocità, di amore per il racconto, di cigni bianchi e cigni neri che ballano come se la tecnica fosse un dettagliatissimo ricamo. Tenendo conto che il corpo è quello dei danzatori di oggi e che nulla nella danza è mai uguale nel tempo: ed è questa mobilità evolutiva che la rende un’arte in costante rinnovamento.