Un restauratore che abbia messo le mani sulla Cappella Sistina, il Duomo di Orvieto o su un dipinto di Leonardo, è probabile che in Italia resti disoccupato. A lungo pure. Esodato o, meglio, «esiliato». Non perché non ci sia lavoro – sarebbe un paradosso qui – ma perché costretto a rimanere in finestra, a guardare altri soggetti all’opera, pur se non qualificati. Dovrà fare i conti con una nuova identità: quella di una figura professionale che ha dato lustro al suo paese e che oggi è emarginata. Con tanto di Cesare Brandi gettato alle ortiche. Così, un consorzio come Arké,...