«Dietro quelle sbarre resta una silenziosa moltitudine di forme, di movimenti, di cauti comportamenti, non solo nelle gabbie ma anche in quelle zone interstiziali ove respirano le larve della nostra notte più profonda. Un bestiario, uno zoo: specchi. Quelli che non sono appesi nella stanza da bagno, ma nei quali dovremmo andare di tanto in tanto a guardarci» (Julio Cortázar).
Negli ultimi anni sempre più spesso gli schermi si sono popolati di bestie di vario genere e i cinema hanno risuonato di versi e scalpiccii di zoccoli. Gli animali hanno conquistato i ruoli di protagonisti, non più come fedeli compagni di avventura degli umani o loro minacciosi antagonisti, e neppure nelle rassicuranti forme antropomorfe di disneyana memoria, ma come esseri autonomi, con un posto nel mondo. Sono divenuti gli enigmatici oggetti di un’attenta osservazione e in molti casi gli specchi attraverso i quali riflettere sull’umanità.

IN QUESTO senso è impossibile non citare Gunda, il film del 2020 con cui Vicktor Kossakovsky vuole rammentare che condividiamo il pianeta con milioni di altre creature. Nelle parole di Joaquin Phoenix, produttore esecutivo, «una meditazione viscerale sull’esistenza che trascende le normali barriere che separano le specie». Noi umani veniamo accompagnati in punta di piedi – senza una parola, una nota musicale o una sola riga di didascalia – a osservare a trenta centimetri di altezza la vita della fattoria dove vive la scrofa Gunda, protagonista incontrastata del film, insieme ai suoi cuccioli, e a sorprenderci nel riconoscere nelle azioni e reazioni dell’animale dei tratti estremamente familiari: osservare la vita e riflettere sul mistero della coscienza, inclusa la nostra.

Lo stesso anno, in modo meno radicale e più artefatto è stata la volta anche di My Octopus Teacher, vincitore del premio Oscar per il miglior documentario. Qui l’incontro è con un polpo: la proiezione sulla creatura marina di comportamenti o addirittura stati d’animo tipicamente umani si fa forzata; il protagonista umano racconta e descrive tutte le fasi della relazione con il cefalopode. D’altra parte il polpo, nel suo essere dotato d’intelligenza complessa e di una struttura neuronale diversissima da quella dei mammiferi, è oggetto di studio per capire il funzionamento del cervello e provare a indagare l’origine della coscienza (cfr. Altre menti di Peter Godfrey-Smith).

Poi Cow di Andrea Arnold, alcuni anni prima Animal pensivité di Christine Baudillon e Diorama di Demetrio Giacomelli, e tanti film brevi. Ma non sono solo i film documentari a essersi occupati di animali in tempi recenti.
EO, di Jerzy Skolimowski, vincitore del Premio della giuria a Cannes, è un road movie a quattro zampe: segue le peregrinazioni di un asinello attraverso l’Europa a confronto con una varia umanità. Il regista polacco ha dichiarato di aver realizzato questo film proprio per prendere le distanze dai drammi umani, per guardare il mondo in modo più ampio e da un punto di vista diverso. Nel 2021 con Lamb di Valdimar Jóhannsson, è la volta del racconto dai toni horror dell’adozione da parte di una coppia in Islanda di uno strano agnellino nato con sembianze in parte umane. Anche il mistero attorno al quale ruota lo splendido e monumentale Tranque Lauquen di Laura Citarella ha a che fare con un esserino ibrido e mutevole (che sullo schermo non compare mai). È un bambino? Un animale? Che cos’è? È la domanda che si pone ossessivamente la protagonista, prima di decidere di abbandonarsi allo scorrere della vita.

Perché tutto questo interesse?
Da una parte l’osservazione dell’animale come altro da noi ha sempre rappresentato un’affermazione della nostra unicità in un dualismo noi/loro (antropogenesi). Uomo come unico animale che ride, o dotato di una morale, o che prova vergogna, o che ha paura della morte etc, come se delineare confini abbia aiutato a definire l’essenza dell’umanità. L’atto di andare invece a rintracciare le somiglianze, di osservare i comportamenti simili e la ricerca dell’origine comune, rappresenta un tentativo di superamento di questo dualismo ed è il frutto di un nuovo approccio all’ecologia.

SECONDO Giorgio Agamben, che ha diffusamente trattato l’argomento ne L’aperto, la definizione dei rapporti fra animali umani e animali non-umani rappresenta un’urgenza di tipo anche politico.
Del resto nel momento in cui si andassero a ripensare e ridefinire i rapporti fra le specie si intaccherebbe anche quella piramide che vede alla sommità l’essere umano (maschio, bianco, eterosessuale) e tutte le differenze fra noi e loro andrebbero a perdere di senso, o ad acquisirne uno nuovo.
Emanuele Coccia nel saggio La metamorfosi scrive «Ogni specie è la metamorfosi di tutte quelle che l’hanno preceduta, una stessa vita che assembla confusamente un nuovo corpo e una nuova forma per continuare a vivere in modo diverso. Ognuna di queste forme ha lo stesso peso, la stessa importanza e lo stesso valore: la metamorfosi è il principio di equivalenza fra tutte le nature. La variazione è orizzontale».

PRESENTATO lo scorso maggio in apertura di Un certain Regard, Le règne animal di Thomas Cailley conferma questo interesse del cinema per il rapporto uomo-animale, portando al tempo stesso il discorso un passo più avanti nella direzione suggerita da Coccia. Giocando con i generi, spaziando dal fantasy al romanzo di formazione e con dei tocchi horror il film racconta di un mondo in cui misteriosamente alcuni umani si trasformano in bestie, destando sgomento e paura, generando il caos. La trasformazione è estremamente organica, l’osservazione dei corpi che cambiano è centrale. La magnifica colonna sonora, composta da Andrea Laszlo De Simone, delicata e potente al tempo stesso, sembra sottolineare l’equilibrio fragile fra questi due mondi che è impossibile tenere separati. L’inquietudine lascia il posto allo stupore e alla meraviglia. A un certo punto il padre (Romain Duris) dice al figlio (un meraviglioso Paul Kircher) che ha iniziato il processo di mutazione: dobbiamo convivere. Dobbiamo collaborare.
E questa esortazione si può applicare tanto alle altre creature che abitano il pianeta insieme a noi, quanto ai nostri simili.