Ciò che accade nello spazio virtuale interessa lo spazio pubblico. Le rappresentazioni e i discorsi che si alimentano attraverso la rete investono il modo di vivere nelle città. E quando questi discorsi sono fatti di parole e immagini che assolutizzano temi come la sicurezza, il decoro, il privato, allora la spettacolarizzazione e l’estetizzazione della povertà, dei micro conflitti, delle zone di spaccio e marginali, del consumo di alcol e droghe, si esaltano, producendo a oltranza un’ansia di partecipazione denigratoria e delatoria contro l’informe e il mostruoso.

SU QUESTA DERIVA si concentra il libro di Carmen Pisanello, In nome del decoro. Dispositivi estetici e politiche securitarie, pubblicato da ombre corte (pp. 90, euro 10), con prefazione di Giuliano Santoro. Ed è proprio nella prefazione che si sottolinea come questo volume guardi al modo in cui l’ideologia del decoro viene alimentata, attraverso pratiche e discorsi che incrementano il potenziale di violenza, rancore, rabbia privata, che, prima o poi, in qualche maniera, troverà espressione.
In questo momento storico, tale potenziale si manifesta in rete, attraverso i media digitali e la forma peculiare di partecipazione che mediante essi si attiva. È la specifica forma della partecipazione pubblica dei giorni nostri, che riproduce sentimenti negativi nei riguardi degli altri in generale ed ostilità verso chi vive gli spazi pubblici e non rientra nelle categorie di comportamenti e status sociali approvati. Questi sentimenti hanno l’effetto di far chiudere le persone nel privato, isolarle, farle barricare, se è possibile dietro cancelli, mura, dispositivi di allarme, villette a schiera o case fortificate e lontane dai centri abitati. Persone sole ed impaurite e, quanto più impaurite, tanto più sole. Per le quali la partecipazione si riduce all’invettiva.
È di tutto questo che si alimenta l’ideologia del decoro. È tutto questo dispositivo comunicativo e simbolico che Carmen Pisanello sottopone a un esame approfondito, in cui si propone un’altalena costante tra fatti di cronaca, movimenti sociali critici, blog, personaggi pubblici e politici che vivono tra web e tv e analisi sociale sviluppata prevalentemente con le categorie degli studi mediologici.

IL TESTO si legge con intensità. È organizzato in tre capitoli. Il primo, Dialogica transpolitica, presenta la rivoluzione dei media in cui siamo immersi. Letteralmente immersi. Nel senso che lo sono i nostri corpi, spettacolarizzati, i nostri modi di pensare e interagire, sovraccaricati, al punto da vedere modificata la «tradizionale percezione del tempo e dello spazio». Tutto si spettacolarizza, compreso il corpo del politico e dei politici, ridotti a mimetizzarsi nella produzione della rete e ad essere cantori della normalità, utilizzata come argine entro cui «incanalare i dubbi, un modo implicito per indicare la necessità dell’ordine costituito, inteso come mantenimento della norma, dello stato delle cose, dell’ordine del discorso».

IL SECONDO CAPITOLO, Fenomeni anomici, racconta l’ uso politico della pubblica decenza, giungendo a presentare quella che chiama la trilogia del condominio, fatta di sicurezza, ordine e pulizia. È un’immersione nei discorsi, nelle pratiche e nelle politiche che hanno esaltato il decoro, una specifica estetica dello spazio, che si traduce in una «negazione estetica» dei comportamenti, delle condizioni e delle persone non compatibili con la narrazione dominante. È un’estetica che si trasforma in politiche e norme legislative precise, enfatizzata nel cosiddetto Decreto Minniti, che ha reso perseguibili quei «comportamenti sociali che nel loro manifestarsi vengono considerati indicatori di disordine sociale e degrado», «contribuendo a instaurare un clima da guerra civile, di una guerra ai poveri e ai diversi». È un’estetica che si palesa in pratiche partecipative come quella rappresentata dalla onlus Retake, che, a Milano e Roma, organizza squadre per pulire gli spazi pubblici, o, meglio, per ripulirli. Il degrado si riduce, così, a semplice fatto estetico. Struttura sociale, rapporti di potere, disuguaglianze: tutto sparisce, per lasciare spazio al decoro, da difendere ad ogni costo. E così la partecipazione si fa strumento di un ordine del discorso fascista, «volta a garantire che l’uniforme abbia sempre la meglio sull’informe».

LA PAURA DELL’INFORME è al centro del terzo capitolo, Analisi mediologica del perbenismo in rete, che studia l’affermazione dell’estetica del decoro, giungendo a concludere che tale estetica ha in sé elementi fascisti, su cui si basa la produzione di odio, compreso quello contro le persone migranti, che vorrebbe realizzare un obiettivo impossibile, quello di cancellare l’imperfezione del mondo.
A questa utopia nefasta si possono contrapporre alternative, scegliendo la strada che interroga le fratture, ricerca negli interstizi, tende a «cancellare le linee di demarcazione troppo nette», abbattendo i confini.