Si sono ritrovate ieri mattina davanti gli uffici Inps di Napoli le Reti sociali nell’emergenza Covid-19 per consegnare un documento da trasmettere al governo, in vista della conversione in legge del dl Rilancio. «L’articolo 82 istituisce il reddito di emergenza – spiegano – che in realtà è un sussidio di povertà per due mesi. Nonostante la sua palese inadeguatezza, rischia di non arrivare nemmeno alla metà dei potenziali beneficiari». La non cumulabilità dei sussidi, a prescindere dall’entità, taglierà fuori i nuclei famigliari che percepiscono, ad esempio, un reddito di cittadinanza anche di poche decine di euro oppure una pensione sociale bassa o un assegno di cassa integrazione, che probabilmente non è neppure arrivato.

La Campania, spiega Eurostat, ha il livello più alto di povertà, raffrontato al reddito nazionale, nell’ambito dell’Ue. Nel 2018 la percentuale è stata del 41,4% (era del 34,3% nel 2017). Se si tiene contro anche della grave deprivazione materiale e delle famiglie nelle quali è molto bassa l’intensità di lavoro, la percentuale sale al 53,6% (era il 46,3% nel 2017). Oltre 61mila famiglie hanno fatto richiesta di contributi affitto quest’anno. È anche la regione con il più altro numero di percettori di rdc (205mila famiglie fino allo scorso gennaio) e la più vasta area di lavoro informale e povero, in nero e grigio. La combinazione dei tre elementi e le rigidità del rem rischiano di allargare ancora la fascia di povertà.

«Antonio ha 62 anni e fino all’anno scorso aveva un lavoro – racconta Giovanni Pagano, coordinatore Usb – perciò ha avuto 240 euro di integrazione in base al rdc. A gennaio ha perso il lavoro: non può ancora aggiornare il suo reddito con l’Isee corrente e non ha avuto una variazione di reddito a marzo per il Covid. Dovrà rimanere con 240 euro per tutto l’anno e non potrà avere altri sussidi».

Poi ci sono quelli che non hanno residenza: «A Soccavo seguiamo due famiglie con figli che occupano alloggi Erp – spiega Rossella Rassino di Potere al popolo -. Senza residenza non accedono ai sussidi come il rem in quanto nucleo familiare e neppure come singoli poiché hanno la residenza a casa delle famiglie di origine, dove magari c’è il nonno con la pensione o un percettore di rdc. Tagliati fuori anche quelli, e a Napoli sono tanti, che vivono in bassi accatastati come locali commerciali, cantine, garage quindi non destinabili ad abitazione».

E i lavoratori in cassa integrazione: Giuseppe ha 44 anni e 3 figli, fa il muratore, ha un contratto di 2 ore settimanali ma in realtà fatica a tempo pieno solo che il resto delle ore è a nero. Si ritrova con una cig di pochi euro che non è arrivata, nessun accesso ai sussidi e il rischio di finire a dormire in auto. Elena fa la sarta a cottimo, senza contratto, in una pellicceria. Il marito è stato licenziato da una catena di supermercati un anno e mezzo fa: fino a gennaio ha preso la Naspi, integrata con 70 euro di reddito di cittadinanza. Adesso i 70 euro sono l’unica fonte di reddito con il mutuo di casa da pagare.

«Il governo ha parcellizzato i sussidi ma la somma delle misure non tiene dentro tutte le fasce sociali che erano o stanno scivolando nella povertà – commenta Alfonso De Vito delle Reti sociali napoletane -. Quando a luglio arriveranno i soldi del rem non basteranno a pagare i debiti già accumulati dalle famiglie monoreddito e senza risparmi. Anche chi è in cig, con il taglio dello stipendio, rischia di finire in mano all’usura. Con il mutualismo dal basso abbiamo raggiunto 2mila famiglie che non hanno avuto i bonus spesa perché ponevano gli stessi criteri che li taglieranno fuori dal reddito di emergenza».

Al governo chiedono di togliere i criteri di esclusione, a cominciare dalla non cumulabilità dei sussidi, e aggiornare il calcolo dell’Isee corrente a marzo per accedere al rdc. Soprattutto, chiedono un reddito di base per tutti.