L’intreccio sembra l’incontro di tutte le voci del bosco, abbracciate tra loro in una melodia naturale che attraversa le stagioni: dalle radici punta in alto guardando all’azzurro rarefatto del cielo con l’intensità di un arcobaleno dopo la pioggia. Alla base è la roccia calcarea a farsi carico del legame con la terra. La natura stessa del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise con la sua forza primigenia – «luogo legittimo dei sogni e delle leggende» – ha indirizzato anche il lavoro di Sissi (Bologna 1977, vive e lavora a Bologna), prima artista donna invitata a realizzare un’opera site-specific per la quarta edizione di Arteparco.

IL SUO RADICORNO (2021) è quanto mai immediato nel tradurre l’essenza immaginifica dell’archetipo: lungo la passeggiata per i Sentieri C1 e C2 è preceduto dal cuore dell’artista-designer Marcantonio (Animale Vegetale/ Il Cuore), dai cavalletti di Matteo Fato (specchi angelici) e dalla mano di Alessandro Pavone (Un tempo è stato). Realizzata in ceramica l’opera è posta nel sottobosco delle Foreste Vetuste (patrimonio Unesco dal 2017), vicino ai faggi dai cui rami pendono licheni dal nome poetico («barba di bosco»).

NON TROPPO LONTANO DA LI’ c’è l’area in cui fiorisce l’Iris Marsicana, specie floreale spontanea in via d’estinzione tra quelle protette e tutelata all’interno del Pnalm che, istituito per decreto regio nel 1923, si appresta a celebrare i suoi primi cento anni. Patrocinato dal Ministero della Transizione Ecologica e nato dalla collaborazione tra Ente Parco, Comune di Pescasseroli e Parco1923, con il supporto di brand sensibili all’ecosostenibilità, Arteparco è il felice esempio di marketing culturale che affida al valore del rapporto arte/natura il ruolo primario nel riportare l’attenzione sull’urgenza di un rapporto più equilibrato tra l’essere umano e la natura stessa, attraverso la rilettura dei codici comportamentali nel rispetto dell’ecosistema.

L’ARTISTA HA LAVORATO partendo dalla considerazione del grande contenitore del Parco, abitato da innumerevoli specie di flora e fauna tra caprioli, lupi, aquile e, naturalmente, il camoscio appenninico e l’orso marsicano (nel 2020 l’orsa Amarena F17 è stata protagonista di un raro caso di parto quadrigemino), come una sorta di wunderkammern. «Amo molto il sottobosco e volevo che l’opera fosse alle porte del mistero. L’idea del lavoro è di una radice che esce e si avviluppa come un germoglio, tocca il cielo e prende colore, quindi diventa quest’unicorno che, in fondo, appartiene alle leggende del bosco. Poi si è estinto e oggi ritorna come simbolo della nostra riappacificazione con la natura.» – spiega Sissi.

«NELLA MIA VISIONE IL BOSCO è una meraviglia, quindi è una stanza delle meraviglie, quelle wunderkammern che contenevano oggetti depredati e strappati dal luogo d’origine per essere portati alla conoscenza. Anche l’unicorno, simbolo intangibile, trova posto in queste wunderkammern attraverso il narvalo, il vero unicorno dei mari, che ha offerto il suo dente.»

IL NARVALO (Monodon monoceros), presente in molte collezioni naturalistiche tra cui quelle del Museo di Storia Naturale di Trieste, minacciato dai cambiamenti climatici e dal crescente impatto antropico nell’Artico, è il misterioso cetaceo parte delle «balene dentate» il cui unico dente (o zanna) può crescere fino a tre metri. «Ho immaginato che nel bosco con il ritorno della mitologia dell’unicorno anche il narvalo, che è stato completamente cancellato da questa appartenenza e oggi è una specie in via d’estinzione, tornasse ad avere protagonismo nella storia. La sua generosità rappresenta la speranza nel richiamare tutti a pensare in una maniera più prospettica per guardare lontano, sognare, fantasticare su un futuro possibile».

IN RADICORNO L’INCONTRO tra terra e cielo avviene per mezzo dell’argilla, un gres che cristallizza diventando quasi un oggetto osseo. «Quando lavoro l’argilla cerco sempre la costola mancante in noi. Tutte le ceramiche che faccio hanno un qualcosa di umano che certe volte sembra un po’ ossificato. Lo chiamo il motivo osseo. Una durezza che ottengo schiacciando l’argilla e lasciando la mia impronta: in qualche modo ci ricongiunge all’idea di imminenza in cui tutte le cose coincidono»