Il racconto truccato del conflitto previdenziale
Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclusione nasce incrociando alcune fonti rilevanti con una analisi delle dinamiche del capitalismo finanziario. Notizia divulgata […]
Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclusione nasce incrociando alcune fonti rilevanti con una analisi delle dinamiche del capitalismo finanziario. Notizia divulgata […]
Le pensioni sono sotto attacco. Non a singhiozzo, non in fasi circoscritte: sempre. Tale conclusione nasce incrociando alcune fonti rilevanti con una analisi delle dinamiche del capitalismo finanziario. Notizia divulgata da Repubblica il 31 ottobre scorso: il sistema delle pensioni italiane è insostenibile; lo sostiene un rapporto comparativo che colloca il nostro paese al 27° posto in una classifica di 37 sui requisiti di adeguatezza, integrità e sostenibilità dei sistemi previdenziali. È l’ultimo che ci trascina in basso, anzi che relega l’Italia in fondo; pensioni così non potremo permettercelo più.
Se si guarda il dettaglio delle argomentazioni – sviluppato in modo molto approssimativo – si trova oltre ad un rapporto fra spesa presumibile nel futuro in base alla demografia ed altri fattori come la misura della forza lavoro, il debito pubblico un ossessivo riferimento allo sviluppo della previdenza complementare. Se le pensioni private sono ben sviluppate il futuro è roseo, altrimenti si tinge di bruno. Un criterio discutibile? Senz’altro. Se il quotidiano diretto da Carlo Verdelli avesse specificato la provenienza del rapporto tutto sarebbe stato più comprensibile: il Melbourne Mercer Global Pension Index è uno studio del Gruppo Mercer, posseduto da Marsh & McLennan , una potentissima azienda con sede a NY specializzata in assicurazioni private. Un rapporto di un venditore di polizze assicurative che raccomanda l’ingrandimento della previdenza privata suona molto diversamente (l’oste che dice che il vino buono insomma). Forse miglior prova di giornalismo sarebbe stato completare la notizia…
La “riforma delle pensioni” è entrata nel lessico politico corrente. Chi la sa decifrare non ha bisogno di giri di parole. L’intento del presidente Macron che la sta portando avanti è abbastanza chiaro al confindustriale quotidiano Les Echos: far lavorare per più anni; vale a dire tagliarle. La prospettiva non è risultata particolarmente gradita ai destinatari, che sotto la guida delle maggiori sigle sindacali sono entrati a natale nel 22simo giorno di sciopero continuativo in vari settori. Le ballerine che danzano Il Lago dei Cigni per protesta dinnanzi l’ Opéra hanno fatto il giro del mondo.
Il caso francese è celebre per la forte resistenza che ha fatto parlare di sé; ma riforme delle pensioni di segno simile si sono verificate in numerosi paesi, come indica la pubblicazione di OECD Pensions at glance 2019. La pressione delle organizzazioni internazionali a potenziare le pensioni private è fortissima. Ma perché?
In parte ovviamente per il guadagno diretto di tale gestione. Ma anche per una ragione più generale: il mercato dei capitali privati diventa il principale referente sociale e deve sbarazzarsi della concorrenza. Cioè dello Stato.
Il motivo è il seguente: nel sistema keynesiano e fordista alti salari sono necessari per alimentare la produzione – il lavoratore non compra se non ha soldi. Con l’indebitamento privato che si sostituisce agli innalzamenti salariali (si consuma sempre più indebitandosi) si amplifica la diseguaglianza, aumentando le risorse delle classi abbienti. Ma cosa se ne fanno queste del proprio surplus di capitali? Oltre a nutrire consumi di lusso investono in qualcosa che garantisca profitti ulteriori: la finanza speculativa. Per esempio la febbre di fusioni fra grandi aziende; che non diventano più grandi solo per competere meglio o occupare i mercati con forme di oligopolio. Ma perché fondersi significa trarre da due aziende che vengono 50 una che ne vale 125. Il 25 in più chi lo mette? Il risparmio privato. L’investimento finanziario ha un senso se si coinvolgono pure le classi lavoratrici, privandole della alternativa rappresentata dallo Stato per spingerle al casinò finanziario. Da qui sorge l’odio ideologico per la gestione pubblicistica della previdenza. E non è solo un fattore di aumento del rischio (che ovviamente c’è); il gioco è truccato, e se il croupier è d’accordo nel far vincere alcuni giocatori non è una gestione inadeguata. È conflitto di classe.
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