Gli ebrei egiziani si contano in poche decine. Frequentano la grande sinagoga nel centro del Cairo, a due passi da via Mohamed Farid e dal negozio di oggetti per la casa Gattegno, proprietà di una famiglia di commerciati ebrei italiani, presidiata giorno e notte dalla polizia. Resta poco degli antichi splendori di questa comunità che contava migliaia di persone prima del 1948. La bellissima sinagoga di Abbasseya è abbandonata, il cimitero ebraico è lasciato nel degrado più completo, mentre la storica sinagoga di Mar Girghis, è tenuta in sesto per le visite turistiche.

 

 

Qualche tempo fa siamo stati invitati al funerale di una delle più giovani donne della comunità ebraica egiziana, impegnata in politica con il partito comunista locale. La partecipazione è stata davvero calorosa e trasversale tra i cristiani e i musulmani. E proprio gli ebrei egiziani sono i protagonisti della più interessante tra le decine si soap opera, prodotte anche quest’anno per il Ramadan, quando dopo il digiuno tutti passano i loro pomeriggi assolati intenti a guardare le drammatiche storie, proposte da canali pubblici e privati no stop.

 

 

 

La vicenda di Leila, la bravissima Menna Shalabi, protagonista della più controversa delle serie di quest’anno Il quartiere ebraico, è molto originale: suo fratello Moussa ha lasciato l’Egitto per trasferirsi nel neonato Stato di Israele. «Tuo figlio è un traditore», grida Leila contro la madre. «È nato come un ebreo egiziano non un israeliano», insorge nelle prime scene del feuilleton. Gli ebrei egiziani, mostrati in sinagoga e immersi nelle loro preghiere, vengono rappresentati come dei veri patrioti, espressione spesso di un acre anti-sionismo. Questo conferisce alla serie un’accuratezza senza precedenti su questo tema.
Ad essere stigmatizzati come rozzi nella soap sono i Fratelli musulmani. I militari sono spesso invece indicati come benevoli verso gli ebrei egiziani. Il soldato Ali è addirittura lo spasimante di Leila. Non si fa invece alcun riferimento al ruolo dei militari, e dei nazionalisti, nell’espulsione degli ebrei all’epoca di Nasser che decimò la comunità ebraica egiziana.

 

 

Secondo alcuni, la soap rappresenta lo spirito pluralista della monarchia del re Farouk, appoggiata da Londra, e gli ebrei egiziani sono la personificazione di una cultura liberale distrutta da Nasser. Non sono mancati i commenti antisemiti sulla rappresentazione positiva che viene fatta degli ebrei egiziani nella serie. Gli islamisti hanno gridato invece alla tacita alleanza tra il presidente Abdel Fattah al-Sisi e Israele dopo il suo impegno al fianco di Tel Aviv nell’operazione Margine protettivo contro Gaza dello scorso anno.

 

 

Ma anche i pochi ebrei egiziani rimasti hanno mosso delle critiche al Quartiere ebraico. Il capo della comunità ebraica egiziana, Magda Haroun ha notato che in alcuni episodi non era presente una Torah nella sinagoga, che la ricchezza delle famiglie ebraiche negli anni Quaranta non raggiungeva le vette rappresentate nella soap, mentre spesso i vestiti femminili risultano a suo avviso poco credibili. Non solo: molti hanno notato una velata accusa di sionismo mossa verso gli ebrei comunisti egiziani.

 

 

Mohamed el-Adl, regista della serie ha rimandato al mittente ogni critica. Secondo lui, non è stato Nasser ad espellere gli ebrei egiziani. El-Adl ha criticato però le note positive inviate dall’ambasciata israeliana al Cairo per congratularsi con lui per la sua opera. «Israele è il primo nemico dell’Egitto, non capisco le loro lusinghe», ha ribadito perentorio.
Con l’avvicinarsi del trentesimo e ultimo episodio, Ali torna dal fronte come un eroe, ma viene catturato e torturato dagli israeliani. Si ripetono anche tanti stereotipi legati agli ebrei, rappresentati spesso come corrotti collettori di tasse. In tutto questo però Il Quartiere ebraico, la perla di questa stagione televisiva, ha il pregio di cogliere la comunità ebraica egiziana nel suo nazionalismo ma anche nella sua convinta lontananza dal sionismo.