Attenzione alle proiezioni e alle simulazioni, questa notte. Già alle 20.15, quando in Italia mancheranno quasi tre ore alla chiusura dei seggi, il parlamento europeo diffonderà la prima ipotesi di composizione del nuovo emiciclo (aggiornandola di ora in ora con i dati definitivi) e si tratterà ovviamente del parlamento a 751 deputati. Quello che comprende i 73 rappresentanti del Regno unito e di conseguenza anche per l’Italia considera 73 eletti. Anzi, in mancanza di alternative e a urne ancora aperte nel nostro paese, il risultato italiano sarà quello previsto dalla media degli ultimi sondaggi, e dunque già noto: 26 seggi alla Lega, 18 ai 5 Stelle, 16 al Pd, 8 a Forza Italia, 4 a Fratelli d’Italia e uno alla Svp. In totale, appunto 73. Ma gli eurodeputati eletti dall’Italia saranno invece 76, come da decreto del presidente della Repubblica (22 marzo 2019) che ha applicato la soluzione al rompicapo Brexit proposta a giugno dell’anno scorso dal Consiglio europeo (decisione 937 del 2018). Si eleggono, cioè, in tutti i paesi tutti gli eurodeputati del parlamento così come sarà composto dopo l’uscita del Regno unito, ma 27 restano in attesa e saranno insediati contemporaneamente una volta andati via i 73 britannici – 46 seggi invece saranno perduti perché l’eurocamera passerà da 751 a 705 componenti.

Ma come si individueranno i tre eurodeputati eletti a tutti gli effetti eppure «in panchina»? La Corte di Cassazione, presso la quale è insediato l’ufficio elettorale nazionale, lo ha spiegato in un comunicato martedì scorso. A essere penalizzate saranno le tre liste «che a livello nazionale hanno ottenuto seggi con i minori resti utilizzati». Il metodo di assegnazione dei seggi è quello del quoziente naturale che si ottiene dividendo la somma dei voti raccolti dalle liste che hanno superato la soglia di sbarramento del 4% per 76 (il numero dei seggi da assegnare). Se i voti validi fossero quelli di cinque anni fa, il quoziente naturale sarebbe circa 337mila: ogni seggio assegnato a livello nazionale corrisponderebbe a quella quota di voti. Gli ultimi seggi sono invece assegnati con i resti, prima ai partiti che dalla divisione dei loro voti per il quoziente nazionale risultano avere la parte decimale più alta.

Il discorso finirà quasi sicuramente per complicarsi se i tre partiti che risulteranno avere gli eletti con i resti minori, dunque i partiti candidati a tenere tre eurodeputati in panchina, non avranno eletti nelle tre circoscrizioni – nord-est, centro e sud – dove l’ultimo seggio è stato assegnato con i resti. Il che è probabile visto che la quota degli eletti assegnata nazionalmente a ciascun partito dovrà poi essere calata nelle cinque circoscrizioni con un meccanismo identico a quello previsto dalla legge elettorale nazionale – il Rosatellum – che alla prova di marzo 2018 ha provocato sconquassi. Compresi gli slittamenti di seggi da una circoscrizione all’altra.

Il problema è che per le elezioni europee lo slittamento dei seggi da una circoscrizione all’altra deve considerarsi escluso perché c’è una sentenza del Consiglio di stato del 2011 che diede ragione all’eurodeputato di Fi Gargani. L’ancoraggio, allora, fu alla legge elettorale per la camera che escludeva appunto lo slittamento. Solo che nel frattempo la legge è cambiata e adesso lo slittamento è permesso, anzi si è già verificato. Tutto questo potrebbe preludere a ricorsi post elettorali, come hanno segnalato a inizio maggio l’avvocato Felice Besostri e i professori De Sena, Imparato e Troiani in una lettera ai presidenti di camera e senato (e da ultimo anche in un esposto alla Cassazione). Nessuno ha risposto.