Per fortuna c’è chi ha saputo trovare la sapienza, la lucidità necessaria a dire al mondo che La nazione delle piante ha i suoi diritti. Si tratta di Stefano Mancuso. Chi ama davvero il mondo vegetale in questo manifesto in otto punti trova punti d’appoggio granitici. Se esiste una terra è perché le piante lo hanno permesso. Il neurobiologo vegetale di fama mondiale denuncia dei capisaldi di un pensiero fondato sulle piante che è sempre più condiviso. Eppure, da solo, Stefano Mancuso, poco può. Un pensiero se non trova una massa critica di sostenitori non serve a nulla. Che siano le piante a permetterci di vivere, che queste creature, le più diffuse e numerose sul pianeta, ci forniscano ogni giorno la possibilità di bere, mangiare, vestirci, è evidente a tutti. Ma se non si trova un terreno di affermazione nelle nostre città, nelle campagne, rimaniamo alle petizioni di principio. Siamo alla sesta estinzione di massa, siamo nell’era dell’Antropocene che rischia di essere l’era geologica più breve. Nel manifesto di Mancuso si parla dei diritti delle piante. Vogliamo cominciare a invocarne qualcuno adesso che è estate e migliaia di piante seccheranno, semplicemente perché chi le ha piantate non lascia detto a nessuno di prendersene cura? Perché non istituire una sorta di «Pronto soccorso vegetale» nelle città che corra ad innaffiare quelle fioriere che tra poche settimane conterranno cadaveri di piante? Tutti ci commuoviamo per un gattino salvato dai pompieri: le piante non gridano e nemmeno abbaiano.

Sono per questo sono meno importanti? Contano i gesti. Un «Pronto soccorso vegetale» farebbe notizia, se ne parlerebbe. Penso ai gruppi già organizzati nelle città che potrebbero prendere la cosa seriamente, ce ne sono dovunque. Esistono e vanno rafforzati, i volontari, non parliamo di operatori a pagamento, che accorrono a spegnere gli incendi. Ritengo che nelle città vedere all’opera un «Pronto soccorso vegetale» che innaffi le fioriere abbandonate, possa essere motivo di riflessione. Se l’animalismo si è imposto e si parla di un pensiero antispecista , giustamente, un pensiero «vegetalista» deve trovare i suoi atti, tradursi in ecopolitica. Dice una cosa Mancuso nel suo libro, «nella specie umana sono davvero pochi quelli che decidono del destino di tutti su questo pianeta». E’ vero, una risposta sta nel fatto che, nei nostri orti liberati e condivisi, nel nostro movimento di seedsavers, abbiamo noi in mano il «potere» della fecondità e della socialità, possiamo decidere. La fantasia di chi già opera nelle città negli orti sociali, l’amore di chi vuol bene alle piante e proprio per questo scambia e diffonde, riproduce e coltiva, può provare a dichiarare dal basso i diritti della nazione delle piante. Cominciamo a chiederne uno: vietare l’innaffiatura degli orti nelle città è una idiozia pura, un controsenso controproducente. Se la foresta tropicale genera, semplicemente respirando, con la sua umidità intrinseca, oltre l’ottanta per cento delle piogge, si chiama infatti foresta pluviale, i nostri orti devono vivere e quindi tutta l’acqua che gli diamo ritorna sotto forma di acqua equivalente risparmiata. Ed anche questo è un concetto da esplicitare diffusamente.