Nel mezzo di una crisi epocale causata dalla pandemia di Covid-19, con i suoi sviluppi inaspettati e le sue problematicità, ci siamo interrogati – come Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) – sulle possibili letture e sulle visioni strategiche che ci avrebbero dovuto animare, per definire prospettive di futuro, pur in un momento in cui siamo immersi attivamente, e talvolta travolti, nella gestione quotidiana della crisi.

In modo drammatico e devastante la crisi ci sta mostrando che un cambiamento profondo e strutturale è necessario: un cambiamento radicale che sappia superare il prima di cui questa crisi è figlia, coinvolgendo la politica e l’economia, l’ambiente e la riduzione delle diseguaglianze sociali, l’organizzazione delle nostre città, la cultura e l’educazione. Una trasformazione che non ci può vedere solo spettatori passivi, ma che ci interroga chiedendoci pensiero inedito, protagonismo e impegno politico. Ipotizzando come provare concretamente – attraverso le nostre organizzazioni e i loro profondi legami con i territori e le persone che li abitano – a dare vita a sistemi socio-economici ecologicamente integrati, bilanciando giustizia sociale, inclusione e ambiente.

Il progetto Esc-Economia solidale circolare, un’opportunità per ripensare la mission delle imprese sociali

In questa prospettiva complessa, il progetto sul tema dell’Economia solidale circolare (ESC), di cui siamo stati titolari come CNCA, ci ha offerto la straordinaria opportunità di poter pensare un nuovo concetto di economia solidale, di impresa sociale non profit e di poter immaginare quale ruolo sociale e politico vogliamo avere in questa nuova riscrittura del rapporto tra esseri umani, ambiente, economia e salute. Abbiamo elaborato ipotesi di politiche sociali e territoriali in cui poter scrivere da protagonisti un diverso rapporto tra lavoro sociale e territori. Quei territori in cui da sempre ci collochiamo e da cui nasciamo, oltre trent’anni fa, da gruppi di cittadini attivi, soggetti di impegno civile, familiari di persone con bisogni sociali particolari e spesso non coperti dalle istituzioni.

Il distanziamento sociale trasformatosi per molti in isolamento, con una accentuazione delle fatiche della parte più vulnerabile della società, è stato uno degli stimoli maggiori che ci ha spinto a ripensare profondamente la mission solidale su cui sono nate le nostre organizzazioni, che nel tempo si è evoluta in una economia sociale. La crisi prodotta dalla pandemia non ha fatto che rafforzare tendenze precedenti, già emerse con la crisi del 2007, obbligandoci a riflettere su una nuova prospettiva di economia solidale e circolare. Dati inequivocabili confermano che sono in preoccupante aumento la povertà assoluta e relativa sui territori, con una crescita delle diseguaglianze sociali.

Un nuovo concetto di sviluppo sociale ed economico

L’emergenza pandemica ci ha obbligato a non essere più risorse ancillari che, nella sola gestione dei servizi indispensabili, tamponano l’esclusione e le difficoltà e sociali e culturali prodotte da uno sviluppo non attento alle persone. La crisi sanitaria ed economica, con il suo portato di solitudine, malattia, nuove forme di esclusione e povertà, ha dimostrato le estreme criticità di un egemone, fino ad ora, concetto di economia capitalistica e di sviluppo illimitato, ma ha anche fatto emergere inedite solidarietà e nuove forme di coesione.

Tutto ciò richiede di riportare la persona e la comunità sociale al centro di una nuova responsabilità sociale, in un diverso rapporto con la natura, con le risorse energetiche e lo sviluppo economico, ispirandoci ai concetti innovativi dell’economia circolare.

È emerso così il valore del nostro impegno per la costruzione di comunità ecologiche e solidali, l’aggregarsi e ritrovarsi insieme della comunità locale nei nostri centri di agricoltura sociale e negli orti urbani collettivi, il riuso di spazi della città a rischio abbandono, i gruppi di acquisto solidale, le sperimentazioni concrete di «cohousing» e le forme alternative di mobilità sostenibile, a cui si è aggiunta durante la pandemia la distribuzione di beni di prima necessità per le fasce più deboli della popolazione.

Come CNCA, cioè come terzo settore eticamente e culturalmente impegnato in direzione di una economia dei diritti e delle responsabilità, abbiamo riflettuto sugli sviluppi possibili del nostro lavoro in un concetto di nuova modernità, in cui i nuovi rischi globali, di cui il Covid-19 è un segnale importante, diventano orizzonte fondamentale dei modelli di sviluppo anche nelle nostre azioni locali, nella diversa gestione dei nostri servizi, nel lavoro verso la promozione di una responsabilità diretta e di un civismo attivo, nell’innovazione del lavoro sociale. Un modo diverso di pensare lo sviluppo sociale ed economico, attento al benessere e non alla crescita a qualunque costo.

Un welfare inclusivo

I governi, le assemblee parlamentari, le Regioni e i Comuni, ma anche le grandi reti di rappresentanza (Forum nazionale terzo settore, confederazioni sindacali, mondo religioso e laico) non possono più limitarsi a intervenire nell’economia per correggere i fallimenti del mercato, ma devono promuovere, attraverso la ricerca e l’innovazione, il benessere sociale e non solo la crescita del Pil, anche perché solo così lo sviluppo può essere sostenibile e inclusivo.

I governi devono ritornare ad investire sui territori soprattutto nella scrittura di un nuovo concetto di salute e, quindi, di un nuovo modello territoriale di servizi socio-sanitari, perché occorre pensare a un modello di prossimità e accompagnamento all’autonomia delle persone, connesso sempre più al loro contesto di vita e a una concezione ampia della salute. Dall’economia socio-sanitaria delle prestazioni per target, al «care» del budget di salute. Questo vuol dire un diverso concetto di abitare e di città, connesso a una mobilità sostenibile, e un differente rapporto centro-periferie e tra territori (valorizzando anche le aree interne del paese con le loro specificità), ripensando il lavoro socio-sanitario di cui siamo protagonisti.

Ci sembra giunta l’ora per ricollocare al centro di un piano di sviluppo le persone e i loro contesti di vita. Bisogna pensare a misure universali di protezione sociale che includano tutta la popolazione, un approccio strutturale che riconosca davvero la cittadinanza e i diritti delle persone che vivono nel nostro paese e che diventi la base di un welfare inclusivo, invece che continuare a proporre forme straordinarie di aiuto e supporto mirate esclusivamente al bisogno individuale (rischio che corre anche il Recovery Plan).

Il ruolo della società civile

Ispirati dalle riflessioni innovative e dalle proposte che il progetto ESC ha evidenziato e dal confronto con le molteplici azioni che le nostre organizzazioni hanno sperimentato sui territori insieme con molti soggetti sociali (centri sociali, oratori o centri d’ascolto, gruppi informali, ecc.), ci sembra decisivo il ruolo che potrebbero avere le varie componenti della società civile, del non profit e dei diversi movimenti territoriali, nel ricreare legami e solidarietà, nel contaminarsi in saperi e identità diversi e nell’individuare e interagire sulle concause economiche, sociali, politiche della crisi, nel rivendicare diritti e spazi diversi di programmazione e sviluppo, contro le tendenze conservatrici e emergenziali emerse finora.

Questa impostazione del lavoro sociale presuppone il superamento di un’azione prioritariamente assistenziale e lenitiva verso un concetto di care, di presa in carico globale della persona, un approccio promozionale delle risorse individuali, collettive e comunitarie e di responsabilizzazione e protagonismo del cambiamento sociale. Le riflessioni di questo periodo ancor di più hanno proposto alle nostre organizzazioni e ai nostri operatori la necessità di un’azione sociale per incidere sulle politiche pubbliche, cercando di influenzarle strutturalmente.

Il nostro agire, con il supporto ai bisogni e ai comportamenti individuali, deve sempre più connettersi con le situazioni, i contesti sociali, i quartieri, con il ripensamento dei luoghi e delle forme dell’azione sociale, in cui la promozione dei diritti è orientata a un’economia «diversa» e al buen vivir»« e alla sempre più necessaria convivenza delle diversità.

Un passaggio strutturale per il nostro mondo, che da meri gestori di servizi, come un certo modello stantio di welfare vorrebbe, ci veda diventare promotori di innovazione e cambiamento attraverso processi di identità collettiva, nella cura dei beni relazionali, ambientali, verso forme collettive di comunità educativa e di comunità «energetiche» responsabili e solidali.

Compito innovativo dello sviluppo del terzo settore è, dunque, l’elaborazione di un pensiero capace di immaginare il nostro agire come lavoro sociale oltre la rete fondamentale e necessaria dei servizi, verso territori disseminati di spazi da riutilizzare, in una diversa cura dei luoghi, per un miglioramento della qualità del vivere che passa anche per una nuova pianificazione urbanistica, la mobilità sostenibile, le politiche della salute territorializzate, le nuove forme del lavoro e dell’abitare, anche nelle aree più interne del paese.

Un modello di azione sociale che sia capace di meticciare forme organizzative e collettive d’azione diverse, emerse nella pandemia, dalla cooperazione non profit (attiva in azioni di solidarietà oltre i servizi in gestione chiusi per Covid-19), alle iniziative informali di protagonismo (le Brigate solidali) e volontariato (i centri di ascolto Caritas) oppure nuove forme di coinvolgimento collettivo come le cooperative di comunità o le imprese solidali di quartiere.

Un modello di protagonismo ispirato alla partnership tra diversi e solidali, con un lavoro di accompagnamento rivolto anche alle persone in carico perché da beneficiari di servizi diventino partner del cambiamento sociale.

Un nuovo concetto di Bene comune di cui la Corte Costituzionale ha definito componente fondamentale il terzo settore stesso. Un modello di terzo settore in cui come CNCA ci riconosciamo da sempre, che ci vede impegnati in una prospettiva di sviluppo e perseguimento di interessi di rilevanza pubblica legati a ambiente, bisogni sociali, territorio e comunità che lo vive.

Questo presuppone un concetto di funzione pubblica e di tutela degli interessi pubblici che preveda la partecipazione di soggetti diversi, non esclusivamente statali, alla promozione del bene comune e del benessere individuale e collettivo, su cui riscrivere lo stesso sviluppo di welfare di comunità e di rapporto tra enti locali e non profit, basandolo sulla co-programmazione e la co-progettazione. E un nuovo concetto di sviluppo – fortemente promosso e chiaramente descritto nei 17 Obiettivi dello sviluppo sostenibile approvati dall’Onu nell’Agenda 2030– che diventa centrale nel perseguimento di politiche di contrasto alle sempre maggiori diseguaglianze.

Una proposta aperta a organizzazioni e territori

Vogliamo in questa proposta di riflessione sul lavoro sociale ispirato all’Economia solidale circolare proporre un concetto di futuro in cui provare a mettere insieme la cura delle persone ed un diverso rapporto con i contesti e l’ambiente di cui fanno parte, nella valorizzazione e nell’ascolto continui dei loro bisogni, ma anche delle loro risorse, nell’attenzione per le nuove generazioni e le diverse culture che abitano i territori.

Uno sviluppo in cui diventa imprescindibile un impegno ecologicamente sostenibile che comporta un processo di trasformazione e riconversione ecologica del lavoro sociale delle nostre organizzazioni.

Uno dei prossimi importanti impegni, che ci attende a più livelli (europeo, nazionale, regionale e locale), sarà il confronto sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, per cercare di influenzare gli interventi di sviluppo socio-economico e di inclusione sociale in una prospettiva ambientale e di riscrittura di alcuni processi territoriali. Attualmente il Piano, per quello che ne sappiamo, ci sembra debole nella valorizzazione dei territori su questi temi e per questo riteniamo decisivo un impegno forte di promozione e responsabilizzazione delle comunità locali e dei soggetti sociali attivi su questi temi.

Il tempo della pandemia ci sembra, pur nella sua criticità, un’occasione forte per il rilancio di queste grandi sfide sociali, economiche e ambientali, che abbiamo sopra indicato, orientate a nuove forme di sviluppo territoriale generativo e sostenibile, in cui la nostra matrice di movimento popolare, con cui siamo nati, ritrova forza e proposta.

Il rischio attuale è quanto questo clima di emergenza continua dato dalla crisi, rischi di ridurre pensiero e speranza di futuro, concentrando le risorse collettive e individuali nella mera necessità di tutela e sopravvivenza. Cogliamo il forte rischio di un indirizzo più orientato a scelte egoistiche e corporative, anche da parte di molte organizzazioni sociali. La proposta che vogliamo condividere va invece nella direzione di far tesoro delle riflessioni sulla crisi per riscrivere a livello nazionale, nelle nostre organizzazioni, nei servizi e nei progetti, nei territori, visioni e pratiche di innovazione e sviluppo sostenibile, capaci di ricreare legami sociali che si connettano e si moltiplichino.

Riccardo De Facci, Caterina Pozzi e Marina Galati sono rispettivamente Presidente e Vice presidenti del Cnca