Le Logge dei Tiratori di Gubbio sono diventate il «loggiato della discordia» sui giornali locali. Il motivo è tutto nel progetto di ristrutturazione, o meglio di «chiusura» a base di vetri e acciaio, presentato da Carlo Colaiacovo, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, proprietaria di questo pezzo di patrimonio della città dal 2012 dopo averlo rilevato da Unicredit. La «cura ricostituente» pensata dalla Fondazione ha immediatamente scatenato l’ira dei comitati cittadini, di Italia Nostra, Terra Mater, e dei consiglieri regionali Paolo Brutti dell’Idv e Orfeo Goracci, del gruppo Comunista Umbro, che hanno presentato già un’interrogazione in merito.

«Le Logge», come le chiamano familiarmente a Gubbio, fonte di discordia lo sono state fin dalla loro costruzione, avvenuta all’inizio del XVII secolo, dopo innumerevoli controversie, sopra il lungo edificio, eretto nel 1326, provvisto di porticato e delimitato dalla chiesa di Santa Maria dei Laici, in origine adibito a ospedale. Un affresco con la Madonna tra i SS. Pietro e Paolo datato 1473 e dovuto a un allievo del Nelli ancora oggi ne impreziosisce la facciata. Già dalla metà del secolo XV l’Arte della Lana mirava a costruire, sopra l’ospedale, un locale coperto per «tirare» i panni (cioè per asciugare la stoffa una volta tinta, tesa in modo da farle assumere una lunghezza e una larghezza determinata).

Le Logge, secondo quello splendido principio espresso da Goethe secondo cui «l’architettura degli antichi è una seconda natura», si sono bene integrate nel contesto della città, proprio grazie a quel loro essere aperte, come un tempio greco, dove l’aria e la luce giocano con le prospettive che si intravedono fra le colonne. Da un’angolazione si vede il Palazzo dei Consoli, Piazza Grande, dall’altra la chiesa di S. Giovanni, la prima, antica Cattedrale della città. Un abile gioco di prospettive che ha permesso ai commercianti dell’epoca di intervenire per i propri interessi utilizzando uno spazio pubblico in modo così accorto e poco invadente da far credere che quel livello superiore del loggiato sia da sempre esistito, senza urti né interferenze.

Ma ecco che i proprietari, venuti tragicamente in possesso di un bene monumentale che doveva restare pubblico, cercano di ristrutturare, «rifunzionalizzare», come dicono loro, qualcosa che percepiscono come «vuoto architettonico», senza pensare che altrettanto «vuote» potrebbero essere definite le arcate del Colosseo, dei teatri greci e romani, dei loggiati di Siena e Firenze, e di tutti quelli che abbelliscono le piazze dell’Italia settentrionale e centrale. Arena di Verona, Valle dei Templi… perché non coprirli tutti con meravigliose soluzioni innovative, magari firmate da architetti compiacenti?

Le leve che vengono utilizzate per scardinare le resistenze sono quelle consuete, della filantropia e dell’innovazione capace di portare lavoro in tempo di crisi: le Logge di piazza 40 Martiri saranno trasformate in sala convegni, saranno sede di mostre che andranno a benificio di tutta la città, ospiteranno esposizioni internazionali che permetteranno a Gubbio di uscire dal suo provincialismo e alle Logge di assurgere alle vette della «Piramide» del Louvre. Mutatis mutandis, l’architetto Carlo Salucci, a cui è stato dato l’incarico, si sente un piccolo Ieoh Ming Pei, visto che anche lui deve «coprire» lavorando con vetro e acciaio. Ed è proprio su questo punto che si è scatenata la ribellione: si può accettare che la vocazione «naturale» delle logge dei Tiratori di Lana sia quella di essere un centro Congressi, o che si punti sulla fruizione di un bene finora inutilizzato «anche da parte del pubblico», per quanto la proprietà privata resti con tutte le conseguenze, ma che le Logge si debbano chiudere con vetri e acciaio, proprio no. E su questo si stanno scatenando le polemiche che già alla presentazione del progetto, nella sala conferenze dell’Unicredit, hanno fatto sollevare una parte della cittadinanza, che non ci sta a farsi imbonire, contro i grandi prestigiatori che velatamente ricattano con il più apprezzato di tutti i ricatti, quello del lavoro, mentre decantano lo sviluppo (sostenibile o insostenibile per loro nulla importa) turistico, le promettenti ricadute sulla città, le irripetibili iniziative che si potrebbero svolgere in un terrazzo meraviglioso, finora abbandonato alle intemperie e ai piccioni.

Invece: parquet al pavimento, ascensore e passerella che colleghi la struttura alla piazza. 5 metri x 3,20 la misura di ciascun vetro, “ad alta trasparenza, autopulente e antisfondamento” pubblicizzato con il linguaggio tipico del piazzista. Ma dare «la colpa» alla proprietà in fondo non serve. La responsabilità vera, in tutta questa amarissima vicenda, è della Soprintendenza, che in soli due giorni ha dato il via libera al progetto, quando, come tutti gli eugubini sanno bene, non esiste in città, e a ragione, la possibilità di aprire nemmeno un miserevole lucernaio o di spostare una singola pietra da parte dei privati. Inesplicabile anche il parere favorevole della commissaria prefettizia Maria Luisa D’Alessandro, intervenuta alla guida della città dopo il suicidio del Consiglio Comunale, che si è detta felice del raggiungimento dell’equilibrio di bilancio, grazie alle entrate che il Comune percepirà in seguito a un intervento di tale portata.

«Il progetto è ritenuto valorizzante e non impattante per la città» ha concluso la commissaria, alla quale più di un soggetto politico aveva rivolto la preghiera di demandare una decisione tanto importante agli organi amministrativi una volta eletti.