Una delle ragioni per cui la risposta sprezzante della Nasa è particolarmente dolorosa per la comunità Lgbtq+ è che sono note da tempo le difficoltà che subiscono le persone del collettivo queer nel mondo delle Stem (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica). Una recente ricerca pubblicata su Science Advances della sociologa Erin Cech dimostra che su 25mila professionisti del campo intervistati fra il 2017 e il 2019, gli scienziati e le scienziate che si identificarono con un «gruppo minoritario» (donne, popolazione nera, minoranze etniche, individui Lgbtq+, con disabilità o con più di una di queste identità) sono svantaggiate in molti modi rispetto a uomini bianchi, eterosessuali e privi di disabilità, gruppo che ha la maggiore rappresentazione numerica. La sociologa ha studiato 31 combinazioni di tutte queste condizioni e ha trovato che questi ultimi vivono maggiore inclusione sociale, rispetto professionale e opportunità di carriera, oltre ad avere salari più elevati e migliori aspettative professionali, cioè minore spinta ad abbandonare la carriera.

SECONDO LA RICERCATRICE, è importante analizzare questi dati, da cui per esempio si evince la minore inclusione sociale la vivono «le donne nere Lgbtq con disabilità», seguite da «donne nere eterosessuali con disabilità», e da «donne nere Lgbtq senza disabilità».
Per quanto riguarda le molestie, il primo posto di nuovo ce l’hanno le donne nere Lgbtq con disabilità, seguite da donne di origine latina Lgbtq con disabilità (e i primi dieci posti sono tutti occupati da persone con disabilità). Di nuovo al primo posto per il minore rispetto professionale troviamo le donne nere con disabilità Lgbtq, seguite da quelle eterosessuali. Le donne nere Lgbtq con disabilità sono anche quelle che, non sorprendentemente visti i risultati, hanno meno forte l’intenzione di rimanere nella carriera, seguite da altri 5 collettivi intersezionali, tutti con disabilità. Secondo i dati, in generale, oltre agli uomini bianchi eterosessuali senza disabilità, i secondi meno discriminati sono gli uomini Lgbtiq senza disabilità, dato che il motivo della loro discriminazione non è così visibile e pertanto «non c’è una esposizione costante al processo che porta alla discriminazione», in parole della stessa Cech in una intervista alla rivista Science.

«I DATI CI INDICANO che esistono questioni sistemiche e che non c’è un’unica politica che possa risolverle. La disuguaglianza nelle Stem non è solo una questione di rappresentazione numerica. Ci sono anche questioni culturali», aggiunge, ed è per questo che bisogna fare «cambi strutturali e culturali nel modo in cui funzionano le Stem, a parte pensare alla rappresentazione». E ricorda che ovviamente il profilo del privilegio non si applica a ogni singolo uomo eterosessuale bianco e senza disabilità: anche in questo gruppo si possono subire trattamenti negativi sul posto di lavoro, per esempio per la classe sociale o la religione, o magari per bullying. Si tratta di risultati generali che aiutano a comprendere come funziona la società.
La stessa ricercatrice, poi, ha pubblicato recentemente un libro dove parla di un altro falso mito che affligge molte e molti giovani ricercatori, ma anche una gran parte dei lavoratori della nostra società. Si tratta del consiglio più gettonato, che abbiamo ascoltato e dato di più: «segui la tua passione». Secondo Cech, il «principio della passione», come lo chiama lei, è fallace per cinque motivi.

IL PRIMO È CHE RAFFORZA le disuguaglianze socioeconomiche. Non tutti hanno la possibilità di fare stage non pagati che permettano loro di accedere al lavoro del cuore o di avere accesso alla rete di contatti familiari che rendano possibile mettere il famoso piedino nel campo preferito. Secondo, molte persone che inseguono la passione tendono a identificare molto del proprio benessere e della propria identità con il lavoro.

SE IL LAVORO rappresenta il nostro scopo, questo significa mettere le nostre identità alla mercé dell’economia globale, dice Cech. Terzo, fomenta lo sfruttamento lavorativo: la passione fa che una persona lavori troppo e senza chiedere nulla a cambio. Quarto, tutto questo rafforza la cultura del troppo lavoro come valore. Per ultimo, fa prendere sottogamba le disuguaglianze sul mercato del lavoro: che ci siano poche donne ingegnere è perché «non c’è passione», non perché ci siano ingiustizie strutturali nel sistema.
Quest’ultima riflessione si applica a tutto il mercato del lavoro, ma nel mondo delle Stem è particolarmente vero: le discriminazioni strutturali assieme alla prevalenza del falso principio della passione sono due grandi ostacoli perché il mondo della ricerca scientifica diventi più inclusivo.