Il professore per l’unità sindacale, il rilancio dei corpi intermedi e un «social compact» europeo. Cgil, Cisl e Uil trovano un alleato nel loro percorso di rilancio: Romano Prodi. A concludere la due giorni su cultura, lavoro e Europa a Matera arriva l’ex presidente del consiglio e della commissione europea. L’uomo dell’ultima stagione di dialogo sociale prima della disintermediazione di Renzi e l’arrivo del populismo.

NEL SUO RUOLO ORMAI di grande vecchio fuori dalle «beghe» della politica, il professore scalda la platea di sindacalisti con una lectio magistralis sull’Europa. E benedice il «difficile cammino» di unità sindacale. «Per me serve tanto», scandisce quasi al termine della sua ora di lezione. «Non voglio entrare nella vostra discussione», si schermisce subito dopo «ma credo che il paese ha bisogno di avere un punto di riferimento». Poi arrivano i ricordi personali – «esperienze di vita» – legati alle ultime riunioni tenute «alla sala verde di palazzo Chigi» poi rottamata da Renzi. In quegli anni a cavallo del millennio e chiusi nel 2007 c’era «una necessità interna di pluralità sindacale, non per un fatto patologico ma per una normale dinamica concorrenziale». Gli effetti su chi era al governo erano però nefasti: «Quello che era detto a mezzanotte veniva cambiato alle 5 del mattino senza un vero motivo». È quindi la fatica di arrivare ad un accordo per il distinguersi di Cgil, Cisl e Uil a spingere Prodi a sponsorizzare l’unità sindacale. «In questo modo i sindacati potrebbero riprendere il loro ruolo di rappresentanza degli interessi dei lavoratori per l’interesse generale del paese». L’esempio è quello tedesco: «Ig Metall ha influenzato molte decisioni della Merkel, ha messo veti, ha ottenuto aumenti per la sua forza unitaria».

E QUI ARRIVA LA SUA CRITICA a Fca e alla famiglia Agnelli già espressa dalle colonne del Messaggero. «Nel resto d’Europa si discute tantissimo del futuro dell’auto e addirittura la commissione europea ha già deciso che i soldi statali spesi per la riconversione ecologica non saranno aiuti di stato. Qua da noi invece è stata venduta la Magneti Marelli, gli Agnelli si sono intascati due miliardi e nessuno ha detto niente. Il governo è totalmente assente sul futuro dell’auto», è la dura reprimenda.

SI TORNA ALLA CENTRALITÀ necessaria «dei corpi intermedi» compresa «la chiesa» con l’obiettivo di «ripristinare integrazione in una società sempre più divisa». La nuova parola d’ordine europea per Prodi deve essere «convergenza». Serve armonizzare le leggi e le politiche dei vari stati, unico modo di poter competere con i giganti: Cina e Stati Uniti. «La Germania da sola non ce la può fare», è la considerazione. E allora «convergenza» partendo dal lascito storico dell’Europa post seconda guerra mondiale: il welfare state. Per «rispondere alla finanziarizzazione dell’economia» serve un «welfare europeo, un social compact che si contrapponi al fiscal compact». Prodi sa che per i sindacati «indennità di disoccupazione unica e salario minimo» sono «capitoli molto delicati». Ma è «l’unica strada per recuperare potere salariale e potere contrattuale». Le altre «convergenze» necessari sono quella «sugli investimenti pubblici», quella «fiscale» contro «un governo che sostanzialmente ha fatto passare l’idea di un condono» e per «combattere i giganti del web» e quella sulla difesa «per non sprecare risorse e poter intervenire nel mediterraneo».

FRA UNA CRITICA A MACRON – «venne eletto con l’inno europeo in sottofondo e poi ha distrutto la politica estera facendo quello che voleva in Libano e Libia e bombardato la Siria senza neanche avvertire» – e una alla Merkel – «la crisi greca poteva essere risolta subito e invece si aspettarono le elezioni in Vestfalia: dopo invece che 30 miliardi ne servivano 300» – e «all’accettazione diffusa delle diseguaglianze» Prodi indica la priorità per l’Italia: «Alzare il tasso di occupazione dal 58 almeno al 70 per cento» – «ai populisti non serve fare proposte, basta denunciare la situazione e dire che è colpa dell’Europa» – e «aumentare l’inclusione come prevedevano le clausole sociali dei trattati».

IN VISTA DI ELEZIONI che Prodi pronostica «porteranno all’alleanza fra popolari e socialisti con l’apertura a liberali o verdi» – «mentre l’alleanza popolari sovranisti la vedo più difficile perché il vento è già cambiato a causa della Brexit e di Trump» – il professore chiede il «rafforzamento dei poteri della commissione e del parlamento e l’armonizzazione dei sistemi elettorali perché la prossima volta ci sia un dibattito vero fra i candidati maggiori alla commissione».

LA STANDING OVATION che gli riserva la sala di Matera è la dimostrazione della nostalgia per i tempi dell’Ulivo e dell’Unione quando i sindacati venivano ascoltati. Il conterraneo reggiano Maurizio Landini lo abbraccia e lo applaude di continuo, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo idem. Ma per avere a che fare con un altro Prodi in futuro il sindacato deve sperare e lavorare per una nuova stagione. E se per aprirla serve l’unità sindacale è altrettanto vero che gli interrogativi su questa strada sono ancora tanti.