«Il diavolo veste Prodi», come da maglietta indossata ieri da Alessandra Mussolini, è già un bel deja-vu. Nel dicembre del 2006 lo slogan risultò come uno dei più inventivi durante la manifestazione contro la Finanziaria organizzata dal centro-destra (il film con Meryl Streep era da poco uscito nelle sale). Due milioni in piazza, cinquecentomila per la questura. Risuonarono in quell’occasione altri epiteti: «Prodin Hood»; «Prodi perchè mi odi?» Ma soprattutto: «Mortadella». Da qui l’altro bel deja vu su Libero di ieri: «Odore di mortadella». Che però, secondo gli archivi, fu un invenzione di Corrado Guzzanti, non di Vittorio Feltri.
Gran parte dell’immagine mediatica di Romano Prodi due volte presidente del consiglio, due volte «giustiziere» di Berlusconi, supereroe superdemocristiano prestato alle confuse speranze del centrosinistra, si deve infatti a un’imitazione di Corrado Guzzanti. Messa in scena per tre volte soltanto, ma di scrittura formidabile. Con gli occhiali quadrati e un mascherone sulle guance, il comico recitò la prima volta nel 1997 al Pippo Chennedy Show il tormentone del Prodi feerrmo, tranquillo. Lo riprese poco tempo dopo a La posta del cuore, e nel 2009 a Parla con me.
La caricatura del Professore si confessava ispirata nella sua azione politica dal «semaforo». Spiegava pure che D’Alema, viste le luci, lo aveva scambiato per una macchina da corsa nella nebbia. Lanciava missili ai suoi avversari e accarezzava una mortadella al guinzaglio come un cagnolino. E quella fu la prima apparizione della mortadella. Nel luciferino finale Prodi/Guzzanti diceva: «Io non esisto; non sono mai esistito, D’Alema mi ha tirato fuori… sono morto in un brutto incidente nel 1974… sono un buon democristiano». E svaniva dalla poltrona dov’era seduto.
Non si escludono qui libere associazioni con la nota seduta spiritica durante il caso Moro (un altro cavallo di battaglia della libellistica antiprodiana), ma questo bisognerebbe chiederlo a Guzzanti, che del pezzo fu solitario autore e interprete. Una cosa è certa. A Prodi piacque molto. «Sono fermo e sto là, quell’imitazione era proprio bella», disse. Una volta però aggiunse: «Ho letto che dopo la parodia al Chennedy Show, Funari ha ritirato la sua candidatura a sindaco di Milano. Spero di non fare la stessa fine». Funari, grande esperto di mortadelle, dovette spiegargli meglio la questione: «La satira – disse – non ha mai spostato voti ma ha sempre rivitalizzato la politica».
Qualcuno, un giorno, spiegherà meglio il rapporto sadomasochista tra i politici della Seconda Repubblica e i loro mascheroni televisivi, o certe gag come il «fu-fu» di D’Alema. Accontentiamoci per adesso di Funari. Nel terzo sketch di Guzzanti, comunque, Prodi attendeva feermo tranquillo per intere stagioni sulla panchina di una stazione ferroviaria, dietro la sua bella linea gialla, che Veltroni e Franceschini venissero a richiamarlo in servizio. E lui: «In ginocchio!, Zac! Un colpo di karatè!».
Prodi ebbe anche un’imitazione del Bagaglino (dimenticatissima), una di Enrico Montesano che lo fece vestito da prete. Come Forattini., Fiorello lo raccontava alla radio usando lo stile dei documentari sugli animali («Il Prodi romano»), riproducendone i versi durante l’accoppiamento. Poco altro.
Per trovare qualcosa di più cattivo bisogna tornare a Beppe Grillo. Il racconto dell’incontro a Palazzo Chigi, dove il comico si recò a portare non so che proposte discusse su internet, è ancora di grande attualità. Grillo: «Lo illustrai mentre pian piano Valium si addormentava. Poi mi addormentai anch’io. Era l’otto giugno 2006. Capii una cosa: i partiti erano morti, tutti, nessuno escluso». Valium, Prozac. Grillo coglie la natura sonnambolica di Prodi. Ha replicato la stessa metafora per Napolitano. Nel frattempo però il sito Dagospia lavora di contrasto, come Guzzanti, regalando al professore un frizzante «Prodino».
E’ andata. Nessuno però potrà togliere a Prodi il culo di essere stato al posto giusto nel momento giusto, mediaticamente parlando: sulla tribuna dello stadio di Dortmund la sera di Italia-Germania 2-0, Mondiali del 2006. «Spero che abbia ragionato bene su ogni eventuale rischio», lo avvertì Gasparri. Incauto. Dopo la vittoria, un commentatore politico concluse: «La Nazionale italiana ha perso sempre quando a Palazzo Chigi c’era il Cavaliere».
E l’anno prossimo ci sono i Mondiali.