«Con animo sereno e senza pregiudizi, procederemo a una rilettura complessiva degli atti dell’inchiesta, dal primo all’ultimo foglio, per le eventuali posizioni che non sono state oggetto di processo. Lette anche le motivazioni della corte di assise di appello prenderemo le nostre decisioni». Il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, conferma quanto anticipato pochi minuti prima da Ilaria Cucchi, al termine dell’incontro avuto ieri a piazzale Clodio insieme alla madre Rita e al padre Giovanni. «Ai signori Cucchi ho detto che con animo sereno e senza pregiudizi né positivi né negativi faremo la rilettura complessiva degli atti dell’inchiesta dal primo all’ultimo foglio. Rilettura che avrà per oggetto le posizioni di coloro che non sono oggetto del giudizio nonché della motivazione della sentenza di appello che sarà depositata tra 90 giorni».

«È stato un incontro positivo – commenta, soddisfatta, Ilaria – al procuratore abbiamo anche mostrato le foto di Stefano e ora dopo cinque anni abbiamo l’impressione che si possa giungere a chiarire questa vicenda».

La procura, insomma, ricomincerà da capo a indagare sui tanti lati oscuri della vicenda che ha portato alla morte, da detenuto, di Stefano Cucchi, esaminando i corposi faldoni dei due processi, l’ultimo conclusosi venerdì scorso con l’assoluzione di tutti gli imputati. I quali, per legge, non potranno essere accusati degli stessi reati. Infatti la parte civile chiedeva alla Corte d’Appello di rinviare gli atti alla procura per formulare l’unica ipotesi di reato che non verrebbe interessata dalla prescrizione, l’omicidio preterintenzionale.

«Speriamo che possano emergere fatti nuovi e che chi magari finora ha taciuto parli», si è augurato ieri il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli. Anche per il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Mario Ferri, «è giusto e corretto chiedere la riapertura della indagini». E forse gli inquirenti già ieri potrebbero aver acquisito una importante novità. Giuseppe Flauto, uno degli infermieri dell’ospedale Pertini, assolto in Appello, ha rivelato a SkyTg24: «A me del pestaggio non disse mai nulla ma ad una mia collega Stefano disse, “mi hanno picchiato i carabinieri”».

Di sicuro, e accertato dai processi, in quei sette giorni, dal 15 al 22 ottobre del 2009, il trentunenne Cucchi, uscito dalla palestra alle 19, poche ore prima del suo arresto, viene pestato e, dopo aver perso sei chili di peso, muore. Tanti gli errori, nelle indagini. Tanti da aver portato la famiglia Cucchi a criticare aspramente i pm, Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, a cui venne affidata l’inchiesta. Magistrati che, ha detto invece ieri Pignatone, «godono della mia fiducia», perché «hanno fatto un lavoro egregio». Parole che Ilaria Cucchi ha dimostrato di non apprezzare: «Non sono passate nemmeno due ore e il dott. Pignatone ha già capito che i Pm Barbara e Loi hanno fatto un ottimo lavoro. I casi sono due: o il procuratore capo è riuscito in nemmeno due ore a studiare alla perfezione tutto il fascicolo relativo alla morte di Stefano Cucchi, oppure forse oggi abbiamo perso tutti del tempo».

Non perde invece tempo, il sindacato di polizia penitenziaria Sappe che ieri ha voluto pubblicizzare la querela presentata la scorsa settimana contro la sorella di Stefano. «Dopo essersi improvvisata aspirante deputato prendiamo atto che Ilaria Cucchi vorrebbe ora vestire i panni di pm magari consegnando quelli da giudice al suo difensore per confezionare una sentenza sulla morte del fratello Stefano che più la soddisfi – scrivono, tra l’altro, in una nota – L’insieme delle dichiarazioni diffuse da Ilaria Cucchi pare, con ogni evidenza, voler istigare all’odio e al sospetto nei confronti dell’intera categoria di soggetti operanti nell’ambito del comparto sicurezza, con particolare riferimento a chi, per espressa attribuzione di legge, si occupa della custodia di soggetti in stato di arresto o detenzione».

Intanto, mentre i comuni di Roma, Milano e Pescara discutono di intitolare una via a Stefano, e si scatena la polemica per le frasi di solidarietà alla famiglia della vittima da parte di Adriano Celentano e Jovanotti, sul web impazza il tormentone del selfie con il cartello «A uccidere Stefano sono Stato io». Ma forse per una volta la costruzione del mito potrebbe risultare utile a tutti.