Si dirà, ora, che è solo un espediente – che lo stop alla vendita di missili e bombe al regime saudita non è altro che un modo per colpire la baldanza con cui Matteo Renzi è rientrato da Riad a dettare condizioni per la formazione dell’esecutivo nostrano, dopo aver vestito i panni di un imbarazzante Machiavelli che incensa il giovane Principe avvolto nei fasti dei Saud.

Eppure la campagna per fermare le bombe prodotte in Sardegna che i sauditi da anni scaricano sulla popolazione dello Yemen a perpetuare un’immane tragedia umanitaria nel paese più povero al mondo ha radici profonde in Italia e ampia diffusione transnazionale. Situazioni simili, controlli e sospensioni con volume di vendite declinante, si verificano in Spagna, Germania e Gran Bretagna, oltre che nei paesi scandinavi. La stessa Amministrazione Biden ha per il momento sospeso le vendite di armi a sauditi ed emiratini. Si tratta di vendite decise da Trump nei suoi ultimi frenetici giorni: per compiacere Riad il Segretario di Stato Mike Pompeo – andando contro le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite – arrivò last-minute a dichiarare ‘terrorista’ una parte del conflitto yemenita, gli Houti.

In Italia, da anni Rete Disarmo, Amnesty International e realtà associative sono mobilitate. Davanti alla spaventosa crisi umanitaria yemenita la campagna era arrivata in Parlamento già nel luglio 2019, con uno degli ultimi atti del governo giallo-verde. Un’intesa si è fatta strada nel tempo nella compagine di governo giallo-rossa.

Governo sempre più traballante e in realtà in ritardo, in questi giorni, nel prendere una decisione ormai dovuta sulla risoluzione del parlamento che proroga lo stop. Mancava il via libera dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento. Da qui, è un fatto, si è arrivati fino a impegnare l’esecutivo ad «adottare gli atti necessari per revocare le licenze in essere», impegno che colloca l’Italia avanti rispetto ad altri paesi, circostanza che dà fiducia a quanti ritengono che ora si debba chiedere una valutazione dell’export di sistemi d’arma a altri paesi che violano sistematicamente i diritti umani, a partire dall’Egitto, verso cui sono state autorizzate esportazioni per ben 871 milioni di euro.

Si può a buon diritto ritenere che la revoca della vendita di bombe con cui i sauditi hanno fatto carneficine di autobus e matrimoni in Yemen, sia direttamente o indirettamente il prodotto del conflitto intra-politico in corso in queste ore per la formazione di un nuovo esecutivo. Tuttavia i fatti non si possono negare. Sulla gravità della visita di Renzi alla corte saudita è necessario riflettere oltre gli inevitabili lazzi che il personaggio, avvezzo a muoversi disinvoltamente fra fondazioni e donazioni, attrae a ogni affaccio internazionale.

È grave che un leader politico vada di sua sponte e con compiaciuto convincimento a celebrare il corso politico di un leader autoritario che segna le pagine nere per rispetto dei diritti fondamentali. È grave che, mentre viene ripetutamente chiamato ‘Primo Ministro’, mostri adesione di principio e ostenti fervore nel congratularsi. Suscita quantomeno dubbi di conflitto d’interesse che un senatore che siede in Commissione Difesa del Senato collabori con una fondazione come la Future Investment Initiative, che è emanazione diretta del re e dello stato saudita.

Dopo aver varato il modello di jihadismo transnazionale risultato vincente su quello del rivale iraniano, dopo essere stato esposto come incubatore di terrore in occasione degli attacchi del 9/11, Riad ha fatto di tutto per riaccreditarsi come paese-guida della lotta al jihadismo, al pari dell’alleato-rivale degli Emirati Arabi Uniti.. La messa ai margini dei clerici wahabiti più radicali, gli scontri a corte, la campagna acquisti sul piano della diplomazia culturale e scientifica, tuttavia, si sono accompagnati con la più brutale repressione delle minoranze interne, con record ogni anno di esecuzioni pubbliche, rapimenti di giovani rampolli in fuga all’estero, fino all’uccisione e allo smembramento del corpo dell’oppositore numero uno – Jamal Khashoggi – un caso troppo eclatante perché la leadership potesse non sapere.

Un sistema economico che si regge su forme di schiavitù legalizzata, di cui Matteo Renzi ha lodato ‘il basso costo del lavoro’, sostiene, a suon di petrodollari, l’asse di propagazione dell’Islam puritano più intransigente, la cui crescita, mirante a soppiantare forme tradizionali di Islam in aperta competizione con l’islamismo politico propugnato dalla Fratellanza Musulmana, si innerva lungo sanguinosi conflitti che vanno dall’Asia al Sahel, passando per i Balcani. È fra gli arredi di questo nobile Prìncipe, adottato e svezzato da Donald Trump e dal genero Jared Kushner, che Renzi è andato a riflettere i suoi nobili princìpi, lungo una linea di tardivo e penoso opportunismo, che ricorda solo quella lungo la quale l’ex premier nel 2021 continua a lodare Tony Blair.

Proprio ieri scrivevo sul manifesto che le vicende di Giulio Regeni e Patrick Zaki, e i cambiamenti in corso nel Mediterraneo, ci obbligano – a dieci anni dalle rivolte arabe – a una politica estera che sappia leggere la realtà oltre lo status quo. Lo stop alle partite di armi per l’Arabia Saudita ci dice che status internazionale e capacità di incidere della politica estera non si misurano pesando le armi vendute nel vicinato, in perenne, sterile competizione con gli alleati-rivali.