Le vicende di questi ultimi giorni sull’«emergenza siccità», e in particolare quelle relative a Roma, mi pare abbiano assunto un carattere paradigmatico e ben si prestano ad una serie di riflessioni generali sugli assetti di potere e sul rapporto tra economia e politica nel nostro Paese.

In primo luogo, non si può non notare il ruolo centrale svolto da Acea, che si è mossa come vero dominus rispetto alle definizione delle scelte sulla gestione della risorsa acqua.

Ha confermato non solo il suo profilo di fondo di soggetto privato, orientato alla massimizzazione dei profitti e dei dividendi, ma ha reso evidente il proprio ruolo di potenza autonoma nel rapporto con gli altri attori istituzionali, governo, Regione e Comune di Roma.

COME ALTRIMENTI interpretare l’atteggiamento ricattatorio per cui, a fronte dell’ordinanza della Regione di chiudere l’approvvigionamento idrico dal lago di Bracciano, che contribuiva per l’8% del fabbisogno idrico della capitale, Acea annuncia di razionare l’acqua alla metà della popolazione di Roma, con un piglio che non è esagerato accostare al Marchionne di qualche anno fa, quando minacciava di tagliare investimenti e occupazione se non ci si piegava alle sue regole unilaterali e regressive di gestione del lavoro?

Oppure, ancora, come valutare il fatto che Acea conduce una vera e propria trattativa con i soggetti istituzionali che dovrebbero essere quelli deputati a definire scelte e strategie per la gestione di un fondamentale bene comune, com’è l’acqua?

Basterebbero questi due semplici fatti – vera cartina al tornasole di un’azienda che è del tutto sganciata dalla logica di rispondere a soggetti pubblici, anche quando ne detengono la maggioranza azionaria – per farci apparire patetiche, se non al limite del ridicolo, le affermazioni per cui saremmo ancora in presenza delle vecchie municipalizzate o, come fa ancora qualche giorno fa Sergio Rizzo su La Repubblica, di una gestione pubblica che perdura negli ultimi decenni.

E, infatti, il rovescio della medaglia di quanto sta accadendo è che la politica espressa da governo, Regione e Comune di Roma si dimostra sostanzialmente subalterna alle scelte compiute da Acea.

OSCILLANDO TRA GESTIONE quotidiana dell’esistente e ricerca di un presunto consenso, essa rinuncia a qualunque idea di governo dei processi, che viene esercitato da altri poteri, perché in realtà, nella fase attuale, la possibilità del governo volto all’interesse generale è strettamente legata all’affermazione di una progettazione radicalmente alternativa.

Tant’è che potremmo benissimo scambiare i ruoli tra Zingaretti e la Raggi e nulla cambierebbe, se non il posizionamento delle forze politiche di appartenenza.

Del resto, Zingaretti si è ben guardato dal prendere posizioni di contrasto ad Acea, quando la maggioranza dell’Assemblea capitolina era espressione del centrosinistra e ancora oggi dimostra un colpevole ritardo nel dare attuazione alla legge regionale sull’acqua, così come la Raggi è disinvoltamente passata dall’annunciare dall’opposizione l’intenzione di mettere in discussione la vocazione privatistica di Acea all’attuale atteggiamento, dal «governo» della città, di sostanziale acquiescenza nei suoi confronti.

IN QUESTO CONTESTO, non casualmente si afferma il primato del mercato anche nei beni comuni e nei fondamentali servizi pubblici. Il cui «braccio armato» è proprio rappresentato dalle «4 grandi sorelle» , Iren, A2A, Hera e Acea, che operano nei settori dell’acqua, dei rifiuti, del gas e dell’elettricità.

Ormai dovrebbe essere plasticamente evidente come l’erogazione di fondamentali servizi pubblici è un dato puramente strumentale rispetto alla vocazione di produrre profitti e distribuire dividendi ai soci privati e pubblici, ai primi rispetto alla loro natura di soggetti investitori e ai secondi rispetto alla loro necessità di coprire i tagli della finanza pubblica.

NON C’È DA STUPIRSI nel vedere che le «4 grandi sorelle», in termini cumulativi dal 2010 al 2016, hanno realizzato utili per più di 3 miliardi di euro e distribuito dividendi per più di 2,5 miliardi, o che si guardano bene dall’investire nella ristrutturazione delle reti idriche, che notoriamente richiedono risorse notevoli e danno ritorni scarsi e di lungo periodo.

E che alimentano un sistema, come recentemente evidenziato dall’Autorità nazionale Anticorruzione a proposito di Hera, che si basa, a dispetto della presunta immissione di concorrenza e della possibilità di regolarlo, sulla proroga delle concessione e degli appalti «che si risolve in una sostanziale indeterminatezza della lunghezza del periodo di prorogatio stesso», sulla «cattura del regolatore da parte dei soggetti controllati» e sulla «costante sovrapposizione dei ruoli all’interno del sistema».

Insomma, per dirla con una felice espressione usata tempo addietro da Alfredo Reichlin, «il mercato decide, i tecnici eseguono e i politici vanno in televisione». Per questo l’idea-forza della ripubblicizzazione del servizio idrico (e degli altri fondamentali servizi pubblici), ben lungi dal rappresentare un’ipotesi ideologica come commentatori interessati vorrebbero dipingere (gli stessi che esaltano l’inutilità del referendum del 2011!), in realtà costituisce l’unica risposta realistica all’autonomizzazione delle aziende come espressione del mercato e, ancor più, se si vuole rispondere ai drammatici cambiamenti provocati dal cambiamento climatico.

In questo senso, le proposte avanzate dal Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua per fronteggiare la situazione indotta dalla siccità, che sempre più dovremo considerare dato strutturale, si configurano, da una parte, come iniziative in grado di produrre effetti nel breve periodo e, dall’altra, come ponte rispetto alla prospettiva della ripubblicizzazione del servizio idrico.

OBBLIGARE PER LEGGE le aziende che gestiscono il servizio idrico a investire tutti gli utili realizzati nella ristrutturazione delle reti idriche, sulla base della predisposizione di un Piano nazionale apposito, incentivare l’ammodernamento degli impianti di irrigazione in agricoltura, l’utilizzo delle acque piovane, la realizzazione di reti idriche duali e l’installazione di dispositivi per il risparmio idrico nell’edilizia residenziale e produttiva sono altrettante indicazioni decisive per uscire dalla situazione che le vicende di questi giorni ci consegnano.

Certo, seguendo questa strada dovremo sorbirci qualche strillo da parte delle aziende e qualche reprimenda da parte dei difensori del libero mercato, ma francamente ci interessa di più garantire a tutte le persone il diritto all’acqua, la sua affermazione come bene comune e anche l’attuazione in proposito del dettato costituzionale.

*Forum Italiano Movimenti per l’Acqua