L’attenzione di questi giorni si è concentrata sugli attacchi del ministro Salvini e del presidente della Rai, Foa, al conduttore Fabio Fazio. Ma nessuno ha criticato il presidente Foa per aver richiesto di assumere giornalisti di provata fede cattolica.

Premesso che il contratto di Fazio è eccessivamente alto; che il conduttore avrebbe potuto in passato, come altri, di fronte ad una più generale richiesta di sacrifici accettare un taglio serio ai suoi guadagni; che il suo programma soffre di una certa ripetitività; che l’artista ligure non è un giornalista e farebbe bene a lasciar perdere le interviste ai politici, visto che quando si è cimentato ha peccato di mancato equilibrio (ad esempio ospitando l’ex premier ogni volta che questi lo chiedeva, vedi la puntata con Renzi del 29 aprile 2018, o silenziando senza eleganza il Civati delle primarie Pd del 2013); tutto ciò premesso è evidente che l’attacco di Salvini al conduttore è strumentale ed inaccettabile.

Strumentale perché Fazio era già Fazio (con relativi cachet) anche un paio di anni or sono quando Salvini ancora accettava i suoi inviti, inaccettabile perché la politica non può interferire in questa sfacciata e arrogante maniera su un’azienda come la Rai: se il leader della Lega lo desidera faccia una battaglia per una riforma generale dell’azienda, compresi i troppo alti stipendi di molti dirigenti e conduttori, ma criminalizzare il singolo è abbastanza disgustoso.

Salvini non tollera Fazio non per gli alti compensi, altrimenti non andrebbe nemmeno da Vespa, ma perché ha dato voce a Lucano, a Saviano, ha toccato temi cari alla propaganda leghista parlando però un linguaggio di inclusione e non di muri. Perché tutto questo lo ha fatto su RaiUno di fronte a milioni di spettatori senza alimentare la paura ma rassicurando con il buonsenso di un padre di famiglia. Domenica scorsa erano in 4 milioni a vederlo, con uno share del 16%, un record quest’anno a parte la puntata del 10 febbraio che però si avvantaggiava del traino di Sanremo.

Ma a dare manforte a Salvini si è di recente arruolato anche l’improbabile presidente Foa, con presunti argomenti di mercato: lo ha fatto al festival di Dogliani dove ha detto però un’altra cosa che è passata inosservata ma che a noi appare grave. Ha detto che alla Rai bisogna incrementare la presenza di giornalisti e opinionisti cattolici: non bravi, preparati, competenti, ha detto, ma cattolici. Lo ha detto, ci pare, senza che nessuno gli facesse notare l’enormità della sua affermazione (nemmeno l’Usigrai), ancora inedita nello stupidario della nuova destra nazionale: perché un giornalista è tale non se è cattolico, protestante, buddista, musulmano o ateo, ma se fa bene il suo mestiere.