Forse il segno più evidente del cambiamento è proprio lei. Nel 2017 da prefetto di Milano – la prima donna a ricoprire quel ruolo – non si fece problemi nel cancellare una serie di ordinanze anti-profughi emesse dai sindaci leghisti della provincia, una decisione che non fece piacere a Roberto Maroni, all’epoca governatore della Lombardia. Oggi Luciana Lamorgese è chiamata a gestire le politiche sull’immigrazione – e più in generale la sicurezza del Paese – dal gradino più alto come ministro dell’Interno del nuovo governo Conte. E chi la conosce bene per aver lavorato con lei in passato è sicuro che, pur senza clamore, rimetterà mano ai provvedimenti più discussi del suo predecessore dando avvio a una nuova stagione.

Lucana di Potenza, dove è nata 66 anni fa, Luciana Lamorgese è la terza donna ministro dell’Interno dopo Rosa Russo Jervolino e Anna Maria Cancellieri, che ieri si sono congratulate con lei. Entra al Viminale da tecnico e non da politico, un vantaggio per lei perché conosce la macchina ministeriale come le sue tasche avendoci passato gran parte della sua carriera cominciata nel 1979. Prima come viceprefetto ispettore, poi come prefetto (nel 2003), in seguito capo dipartimento delle politiche per il personale. Nel 2013 è prefetto a Venezia e infine, nel 2014, capo di gabinetto dell’allora ministro Angelino Alfano. Tre anni dopo, quando al Viminale siede il dem Marco Minniti, diventa prefetto a Milano, incarico che lascia nel 2018 quando viene nominata Consigliere di Stato.

A Milano l’inizio, va detto, è ruvido: appena il tempo di arrivare e ordina un blitz per sgomberare i migranti che vivono all’interno della stazione Centrale, molti dei quali vengono fermati perché senza permesso di soggiorno. Matteo Salvini si congratula, ma sarà l’unica volta. Il nuovo prefetto preferisce infatti il dialogo allo scontro. Pratica che mette in atto con chiunque a prescindere dallo schieramento politico di appartenenza: politici, sindacati, associazioni che lavorano sul territorio e, ovviamente, con la giunta guidata da Giuseppe Sala. Quando l’ex assessore alle politiche sociali, oggi eurodeputato del Pd Pierfrancesco Majorino organizza le tre grandi manifestazioni a favore dell’accoglienza, fa di tutto per scongiurare contromanifestazioni rischiose. «Assistiamo a rigurgiti di antisemitismo e di razzismo, anche in relazione ai flussi migratori», spiegò una volta. «Io dico che bisogna accogliere nelle regole, e non respingere il diverso che può essere un arricchimento per il territorio». Una convinzione che ha provato a trasmettere anche ai sindaci dell’area metropolitana riuscendo a far firmare a 76 di loro, su 134, un «Protocollo per un’accoglienza equilibrata» dei richiedenti asilo che portò alla distribuzione dei 5.065 migranti concentrati in città. E nel 2018 sempre come prefetto ha contribuito all’apertura di una casa rifugio per donne migranti vittime di violenza e traumi. Nulla di strano quindi se ieri sia Sala che Majorino hanno salutato con soddisfazione la sua nomina a ministro.

E’ presto per dire se Lamorgese sarà davvero l’anti-Salvini atteso da molti. Di sicuro la sua nomina a responsabile del Viminale crea preoccupazione a destra. «Penso che l’arrivo di Lamorgese, un prefetto che è sempre stato molto favorevole all’accoglienza diffusa dei migranti, segni una discontinuità preoccupante», confessava ieri sera il governatore della Liguria Giovanni Toti.