Ancora una volta, attraverso la pandemia da covid-19, l’umano è messo di fronte ad uno dei suoi elementi strutturali più profondo e gravido di conseguenze: siamo custodi, ma non padroni della nostra vita personale, tanto meno di quella comune.

Costitutivamente vulnerabili: basta un microrganismo a pregiudicare la salute individuale di milioni di donne e uomini e a inceppare i loro sistemi sociali, sanitari, economici e politici. L’umano è precario e da questa fragilità nascono la sua lotta e la sua responsabilità per garantire e garantirsi condizioni vitali che lo facciano resistere nel tempo in armonia con gli altri viventi del pianeta. Costitutivamente chiamati alla cura di noi stessi, degli altri, dei viventi, di Madre Terra.

Oggi il resistere nella pandemia chiama fondamentalmente a un ri-esistere, mettendo mano radicalmente ai feroci sistemi di pensiero-produzione-consumo che proprio a questa situazione ci hanno portato, passo dopo passo. Il tutto dentro a una connessa, complessiva e oggettiva situazione di gravissima criticità nella salute dell’intero ecosistema. Ma, nei momenti di svelamento della forza del reale, si apre limpida la via di una possibile trasformazione radicale.

«…noi vogliamo un cambiamento, un vero cambiamento, un cambiamento delle strutture. Questo sistema non regge più, non lo sopportano i contadini, i lavoratori, le comunità, i villaggi…. E non lo sopporta più la Terra, la sorella Madre Terra, come diceva san Francesco. Vogliamo un cambiamento nella nostra vita, nei nostri quartieri, nel salario minimo, nella nostra realtà più vicina; e pure un cambiamento che tocchi tutto il mondo perché oggi l’interdipendenza planetaria richiede risposte globali ai problemi locali» (papa Francesco ai movimenti popolari, Bolivia 9 luglio 2015).

Come CNCA siamo fondamentalmente interessati a dare tempo e respiro avviando e sostenendo processi generativi di questo genere di cambiamento più che a sgomitare per conquistare spazi di potere e visibilità. In particolare, le nostre pratiche in ambito di economia circolare hanno rivelato inattesi e densi processi di reciprocità tra l’oggetto di lavoro ambientale e le finalità di emancipazione per tutti che, pur tra mille difficoltà e limiti, perseguiamo lavorando e abitando assieme a donne e uomini che provengono da percorsi accidentati, affaticanti e di marginalizzazione.

In sintesi, si tratta di processi che ci hanno permesso di:

  • operare assieme per un fine alto e ampio, come segnalato dalla Scuola di Barbiana inventata dal prete Lorenzo Milani: «Cercasi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che essere uomo. Cioè che vada bene per credenti e atei» (Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, 1967).
  • imparare, attraverso il dar valore alle cose scartate, alle energie e alle risorse naturali impiegate, alle colture ecologiche e all’osservazione su processi e filiere, a dare valore a noi stessi, alle energie che impieghiamo, ai processi personali e collettivi (i cicli di vita) e alle connessioni con gli altri viventi e con l’ecosistema.
  • percepirci, noi tutti, in continuo riuso e riciclaggio di risorse, occasioni, possibilità… e atomi costitutivi. Siamo abituati a pensarci unici protagonisti, ma «le piante esistono da 500 milioni di anni contro i 300mila dell’uomo, rappresentano l’85 per cento del peso di tutti gli esseri viventi, gli animali solo lo 0,3 per cento» (umani compresi) e siamo letteralmente solo polvere di stelle. Abbiamo molto ancora da apprendere dal mondo vegetale, dai viventi, dalla biodiversità, dalle nuove relazioni tra umani che sono necessarie oggi per non smettere di dare presente e futuro al vivere.
  • s-centrarci da noi stessi, dai clan di appartenenza, da nazionalismi e da antropocentrismi per imparare a viversi parte di gruppi cooperativi aperti, di città-mondo senza muri, di un ecosistema ampio.

Il cambio di metabolismo socio- economico delle nostre attività personali e collettive, il debito ecologico del Nord verso il Sud del mondo, la conversione globale per una ecologia integrale, l’adottare metodi per rilevare l’impronta ecologica delle nostre azioni e la costruzione di fraternità con lo sconosciuto, l’oppresso e il maltrattato ci riguardano. La concretezza dei volti e la concretezza dei conflitti derivanti dalle oppressioni umane ed ecologiche ci diano forza per costruire una sorta di «Internazionale dei viventi». Siamo chiamati in prima persona alla trasformazione che vogliamo operare nel mondo. Attendiamo l’irruzione degli assenti al tavolo sul presente e sul futuro di questo mondo.

Mai come oggi il privato è politico.

Per alimentare questo processo che produce esperienze e luoghi dove sperimentare equisostenibilità ed ecosostenibilità ci siamo rivolti a persone che da diversi punti di vista, esperienze e competenze scrivessero delle lettere capaci di parlare al cuore e alla mente di operatori, organizzazioni sociali, movimenti di base, giovani, amministratori, ricercatori, …donne e uomini che cercano e si interrogano su come essere oggi storicamente responsabili.

Le lettere sono pronte, nessun postino suonerà alle porte delle nostre quotidianità. Il postino siamo noi.

Marco Vincenzi, CNCA (comitato scientifico progetto ESC)