L’osservazione dei movimenti e dei partiti dell’estrema destra europea è tema ciclicamente riemergente nel dibattito pubblico soprattutto a fronte della compenetrazione delle sue forme, dei suoi contenuti e della sua rappresentanza in seno agli istituti dell’ordine democratico, tanto in termini elettorali quanto in quelli contenutistico-propagandistici. Tuttavia tale periodica ricognizione non sembra riuscire a comprendere a pieno le ragioni di fondo sottese ad una questione che di volta in volta viene coniugata secondo declinazioni esemplificative (dal populismo al sovranismo) che non colgono a pieno i nessi tra realtà sociale ed istanze regressive e si limitano a disegnare un ritratto «irrazionale» delle forme manifeste delle formazioni neo o postfasciste.

PER QUESTE RAGIONI il lavoro di Elia Rosati, con postfazione di Guido Caldiron, L’Europa in camicia nera. L’estrema destra dagli anni Novanta a oggi (Meltemi, pp. 192, euro 16) rappresenta un valido strumento di lavoro e conoscenza e si pone come dispositivo conoscitivo necessario al fine di comprendere le problematiche che rendono storicamente costante la presenza e la contraddizione dei «fascisti in democrazia». Il libro muove dall’analisi delle destre estreme presenti in Germania, Portogallo, Spagna e Grecia (ovvero in quei Paesi che hanno conosciuto la dittatura) dalla fine della Guerra Fredda ad oggi, da un lato focalizzando l’attenzione sui caratteri peculiari di ognuno dei movimenti postfascisti contemporanei e dall’altro collocando i singoli fenomeni nazionali nel contesto continentale dell’Europa unita come forma del politico e spazio economico-sociale.

In questa cornice l’autore indica il postfascismo, inteso come movimento che trae il proprio impianto d’origine dalle dittature del Novecento, non solo come fattore interno agli scompensi dei singoli sistemi democratici nazionali (evidente, ad esempio, il nesso tra la crisi istituzionale spagnola legata alla questione catalana e l’emergere della destra postfranchista di Vox) ma come «figlio» dei caratteri della globalizzazione neoliberista che dilatando le disuguaglianze sociali su scala mondiale hanno finito per allargare gli spazi interstiziali dove ha proliferato una destra radicale e plurale in grado di porsi sia come contenitore ideologico-culturale sia come ambito economico-sociale di opposizione involutiva della globalizzazione stessa.

Letta in quest’ottica la natura del problema democratico (perché tale si configura) posto dal non marginale spazio occupato dell’estrema destra nella sfera pubblica, si configura più che con la necessità di retorici allarmi per un «fascismo alle porte» con l’esigenza di fare i conti con gli assetti regressivi assunti dalla società liberale sul piano della giustizia sociale, dell’uguaglianza sostanziale e della sovranità popolare nella sua accezione costituzionale.

L’ANALISI PROPOSTA dal libro di Rosati torna a separare una immaginaria venuta degli Hyksos, di crociana memoria, dalle complessità materiali del presente che, al contrario, consentono di dare identità e corpo reale ad un problema delle nostre società. È in questo quadro che lo studio del postfascismo e della composita costellazione internazionale dell’estrema destra finiscono per chiedere conto con metodo diretto della modalità di composizione egemonico-liberiste della Ue (tanto nel cuore del continente quanto nel suo lato orientale) e dei risultati conseguiti, a vent’anni dall’introduzione della moneta unica, sul piano democratico. Ed è lungo quella linea di faglia che risiede l’autentico allarme.