Abbiamo raggiunto attraverso via Gomorreya nel quartiere di West el-Balad al Cairo la moschea al-Fatah, sotto assedio per tutta la notte di ieri. Le strade di Sayeda Zeinab e Abdin sembravano tornare alla normalità tra mercati e macchine, ma all’improvviso, alle spalle dell’antica moschea tutto è cambiato. All’ospedale Saidani, i cancelli erano sbarrati e neppure i familiari dei feriti potevano fare il loro ingresso. Una dietro l’altra arrivavano decine di ambulanze.
I comitati popolari, composti da giovani ragazzi e uomini anziani, alcuni con bastoni e catene tra le mani, fermavano chiunque volesse passare. All’interno di questi gruppi sono attivi criminali armati, spesso assoldati dalla polizia, che delega loro la gestione della sicurezza delle strade. La presenza di comitati popolari che fanno anche servizio notturno è evidente al Cairo, ma ancora di più nelle province (a maggioranza islamista come Beni Suif), dove la polizia egiziana è da mesi scomparsa dalle strade.
Abbiamo raggiunto la prima linea, mentre si intravedeva il minareto della magnifica moschea di piazza Ramsis. Si sentivano sparatorie continue alle spalle della moschea al-Fatah.

Dei ragazzi ci hanno fermato, odiano i Fratelli musulmani e ci hanno spiegato che poco prima in queste strade almeno cinque giornalisti stranieri erano stati prelevati, perché «non ci fidiamo di loro, sono tutti di Al Jazeera (la televisione viene criticata e oscurata per la sua posizione pro-Morsi, ndr)», hanno detto. Fermare e intimorire giornalisti e stranieri è uno dei doveri, imposti dalla polizia, ai piccoli criminali o baltagy che infestano le strade del Cairo nei momenti caotici. E così, per molte ore non si sono avute notizie di Gabriella Simoni, inviata di Mediaset, consegnata dalla baltagya direttamente all’esercito. Ma insieme a Maria Gianniti, della Rai, sono stati tutti rilasciati nella serata di ieri. «Ci sono siriani e palestinesi venuti a combattere con i Fratelli, dobbiamo mettere in sicurezza il quartiere, vede le decine di negozi chiusi, la gente ha paura degli islamisti», hanno continuato i due giovani criminali.
Sei ore di trattativa

I carri armati dell’esercito bloccavano l’ingresso di piazza Ramsis. Ma dei nugoli di uomini circondavano i cancelli della moschea Fatah. Dalle scale laterali si vedevano decine di poliziotti impegnati a non far entrare o uscire nessuno dall’edificio. Almeno cento tra uomini e donne presidiavano il cortile e la lunga scalinata di ingresso. Le trattative tra polizia e islamisti per disperdere il sit-in all’interno della moschea erano andate avanti per oltre sei ore nella notte. Dal ponte 6 ottobre si vedevano decine di veicoli fermi.
In un momento di tregua della sparatoria, ci siamo avvicinati alla folla. Tra di loro un simpatizzante dei Fratelli musulmani, Mohammed Seif ci ha raccontato di essere riuscito ad uscire dalla moschea. «Io ero a Rabaa. Hanno messo il popolo contro il popolo, ora queste persone, se vedono un esponente della Fratellanza uscire vivo dalla moschea lo ammazzano», ha spiegato concitato. Si sentivano spari alle spalle, su via Ramsis, verso l’enorme moschea Al-Fatah. «I poliziotti hanno puntato contro gli uomini della Fratellanza che sparavano (anche se non ho visto nessuno sui tetti della moschea – aggiunge), si trovavano come in trincea dietro le inferriate che proteggono i marciapiedi della piazza», ha continuato Mohammed.
Nelle prime ore della mattina la polizia aveva permesso ad alcune donne e bambini di lasciare la moschea. Durante la tregua successiva, si è diffusa la voce che i corpi di due donne uccise negli scontri di ieri stessero per essere portati fuori dall’edificio.
Nella notte scorsa in tutto il paese sono morte 173 persone, la maggior parte delle quali proprio in piazza Ramsis. A quel punto la folla, con i tanti baltagy infiltrati, ha iniziato a correre verso via Gomorreya. I blindati dell’esercito non placavano la furia dei manifestanti. Un microbus ha raccolto i corpi di due feriti, ma non li ha portati al vicino ospedale Saidani. I guidatori del veicolo si sono impegnati in una corsa frenetica verso un altro nosocomio, rischiando più volte il linciaggio della folla. Dal canto loro, prima dello sgombero definitivo della moschea. I Fratelli hanno tentato di raggiungere Al-Fatah da due punti: alle spalle della moschea Taweed in via Galaa e dal lato opposto in via Mahaddin.
Fratellanza, lo spettro della fine

Sono proseguite le sparatorie dell’esercito per tenere lontana la folla dall’Isaaf, di fronte la corte del Cairo. Si prepara una lunga notte di scontri, ieri erano state centinaia gli arresti per violazione del coprifuoco. Le case dei leader dei Fratelli musulmani, inclusa la guida suprema Mohammed Badie (che ha perso negli scontri anche suo figlio Ammar, 38 anni), sono state date alle fiamme o saccheggiate. È stato arrestato il leader del movimento Ahmed El Aghazy, nel governatorato di Gharbeya. Ieri è stato anche arrestato al Cairo Mohamed al Zawahri, fratello del leader di Al-Qaeda Ayman, accusato di essere leader della jihad islamica. Questo chiarisce come il tema del terrorismo venga usato strumentalmente per giustificare qualsiasi provvedimento contro la Fratellanza. E così, il premier Hazem Beblawi e il ministro della Solidarietà sociale Ahmed el-Borai hanno dichiarato che proporranno lo scioglimento della Fratellanza come partito politico e organizzazione non governativa. Questa decisione riporterebbe il principale partito egiziano alla clandestinità, costringendo i suoi leader politici fuori dall’arena politica. Questa mossa potrebbe essere un tentativo per spingere gli islamisti a fermare le manifestazioni in cambio della loro permanenza sulla scena politica.

La tv racconta un’altra storia

Ma la televisione di stato racconta un’altra storia. Mostra in continuazione le immagini della stazione di polizia di Qardasa, dove sono morti 11 poliziotti, mentre si legge una scritta in inglese: «L’Egitto lotta contro il terrorismo». Si enfatizzano il numero di chiese bruciate e le stazioni di polizia date alle fiamme, come quella di Azbakeya a due passi da piazza Ramsis, dove ha perso la vita un agente. Insieme al sostegno accordato dai Taliban afghani agli islamisti. Ciò non vuol dire che anche gli islamisti non dispongano di armi. Negli scontri di venerdì tra pro e anti Morsi del ponte 15 maggio a Zamalek, alcuni testimoni hanno parlato di un camioncino, zeppo di munizioni, distribuite agli islamisti. Da lì è scoppiata una sparatoria tra i due fronti, entrambi armati, in assenza di polizia.
Dal canto suo, Amnesty International ha duramente criticato l’uso della forza negli sgomberi. Amnesty parla di «forza letale non necessaria», «livello senza precedenti di violenza» e «profondo disprezzo per la vita umana».