Le frasi del poliziotto Fabio Tortosa, che su Facebook si è dichiarato orgoglioso di essere entrato alla Diaz nel 2001 ed essere «un torturatore», hanno avuto un seguito di polemiche e reazioni del mondo politico. Mentre il diretto interessato si diceva elettore del Pd (a radio24) e si domandava il perché del clamore (a repubblica.it), il premier Renzi chiedeva chiarezza sulle sue dichiarazioni.

Analoga presa di posizione è giunta dal ministro dell’Interno Alfano, mentre pare prevista ormai una qualche forma di azione disciplinare da parte della polizia. Ma le parole di Tortosa, potrebbe perfino allargare ad altri le indagini, come vorrebbe Sel che ha richiesto una commissione parlamentare.

Del resto, per chi ha seguito le indagini e poi il processo per l’irruzione alla scuola Diaz a Genova nel luglio del 2001, non è una novità scoprire il «profilo» di chi effettuò quell’azione, nonché il durissimo scontro vissuto all’interno delle forze di polizia, durante e a seguito di quell’operazione. I «mobilieri», ovvero i Canterini boys, il Settimo nucleo utilizzato per forzare e sfondare il cancello ed entrare e picchiare le persone all’interno della Diaz, hanno vissuto quella serata come una sorta di «fregatura» recapitata dalla dirigenza, leggi Digos, Ucigos, servizi e vertici della polizia. In pratica, ritengono che quell’operazione in cui vennero utilizzati i loro muscoli e il loro «ardore», avrebbe dovuto godere anche di una copertura successiva molto più netta.

Invece è accaduto che nell’immediatezza dei fatti tutti i dirigenti di polizia, tentarono di sfilarsi, additando come unici responsabili proprio loro, i Canterini boys.

Non stupisce dunque che anche a distanza di 14 anni, uno di loro rivendichi quell’azione, ricordando però il rancore collegato ai proprio «superiori».

Così, Fabio Tortosa, che oggi ha 39 anni, il 9 aprile ha usato il suo profilo Facebook per ribadire la sua idea su quell’azione. Lui è uno di quegli 80 che entrò a compiere «la perquisizione». E oggi lo rifarebbe. Il poliziotto del reparto mobile, secondo quanto appreso ieri, è anche dirigente sindacale del Consap, nonché – si è letto dal suo profilo Facebook, vicepresidente della squadra di football americano Lazio Marines.

Fabio Tortosa nella giornata di ieri ha ribadito tutto quanto scritto su Facebook in un’intervista audio a repubblica.it, ma ha cancellato il suo profilo dal social network, specificando di non aver commesso alcun reato. Le sue parole confermano il clima di quei giorni e la mentalità di alcuni appartenenti a quel nucleo creato appositamente per le giornate genovesi.

Parole dure contro le «zecche», contro Carlo Giuliani («mi auguro che sotto terra faccia schifo anche ai vermi») e la più generale ammissione della sua partecipazione: «Io sono uno degli 80 del VII nucleo, io quella notte ero alla Diaz. Ci rientrerei mille e mille volte». Ci si domanda allora perché Tortosa a suo tempo non abbia ammesso la sua partecipazione all’azione di fronte al pm Zucca. E come mai, alla fine, se ha pagato Canterini, i suoi boys invece l’abbiano scampata, perché travisati e completamente intenzionati a non aiutare le indagini per scoprire i nomi, e dunque le responsabilità, di chi assaltò la scuola.

A finire infatti imputati furono i capo squadra, a causa dell’impossibilità di riconoscere gli assalitori. Tortosa, quattordici anni dopo, ricorda quella notte, sottolineando proprio quel concetto di «fregatura» di cui accennavamo all’inizio: un vittimismo fuori luogo per persone che sono entrate in una scuola e hanno picchiato ragazzi e ragazze mentre dormivano. «La verità processuale si è conclusa con una condanna di alcuni vertici e del mio fratello Massimo Nucera a cui va sempre il mio grande rispetto ed abbraccio – ha scritto Tortosa – poi esiste la verità, quella con tutte le lettere maiuscole. Quella che solo io e i miei fratelli sappiamo, quella che solo noi che eravamo lì quella notte sappiamo. Una verità che portiamo nei nostri cuori e nei nostri occhi a distanza di quasi 15 anni, quando quegli uomini incredibili si incrociano in ogni piazza d’Italia in cui ci sia da avversare i nemici della democrazia. Quegli occhi che si uniscono in un abbraccio segreto. In un convenzionale e silenzioso sì, lo sappiamo, ci hanno inculato. Quello che volevamo era contrapporci con forza, con giovane vigoria, con entusiasmo cameratesco a chi aveva, impunemente, dichiarato guerra all’Italia, il mio paese, un paese che mi ha tradito ma che non tradirò».

A proposito di questo sproloquio, bisogna ricordare che il «fratello Massimo Nucera» venne accusato di essersi inventato una finta coltellata, per incolpare le persone presenti alla Diaz.

[do action=”citazione”]aggiornamento: la società sportiva Lazio Marines smentisce ogni collegamento a “qualsivoglia frangia politica”, vedi il commento alla fine dell’articolo[/do]