L’Unione Europea e chi la governa, socialisti e popolari, hanno una idea di Europa e, probabilmente, la porteranno fino i fondo. Qualche rumors avanza; alcuni dubbi si affacciano, ma nella sostanza preferiscono una unione monetaria omogenea nei fondamenti. C’è l’illusione che senza la zavorra greca l’Europa si possa vivere molto meglio. Le parole del ministro Padoan sono rappresentative dello stato dell’arte: «i fondamentali dell’Italia si sono rafforzati… ci sarà un po’ di volatilità… ma non c’è nessun rischio per l’Italia che sta facendo le riforme, che sono la via maestra anche dal punto di vista finanziari».

Relativamente alla crisi greca il Ministro ri-afferma che «ci vogliono riforme strutturali per rimettere l’economia greca su un sentiero di crescita sostenibile. Questa è anche la condizione per rendere il debito sostenibile» (il sole 24 ore, 7 luglio). Per quanto possa apparire impossibile, sono proprio i socialisti a irrigidirsi. Le posizioni del vice cancelliere tedesco Gabriel e del presidente del Parlamento europeo Schulz sono coerenti con una certa idea di socialismo. Il primo ha sostenuto che «un compromesso ormai è quasi impossibile e i paesi europei alla Grecia al massimo possono fornire aiuti umanitari», il secondo si è apertamente schierato con il sì al referendum. Qualcuno parla a ragione di mutazione genetica della socialdemocrazia europea. Come dargli torto appare difficile.

Probabilmente sono posizioni condivise da tutti o quasi i socialisti europei, mentre i popolari continuano nella deriva istituzionalista. Per la Germania, inoltre, è opportuno sottolineare la matrice culturale che caratterizza da sempre questo paese, fino a domandarsi se abbiano mai fatto i conti con la propria storia. L’idea stessa di un piano umanitario per la popolazione greca è la declinazione di una idea di società, l’economia sociale di mercato di natura ordoliberale. Se non adotti il nostro modello e le nostre regole non partecipi alla comunità, ma posso in condizioni estreme considerare un intervento umanitario che, per assurdo, umilia ancor di più le persone.

Giornali, riviste e istituzioni di ricerca, formulano ipotesi per superare l’attuale fase di stallo. Noi stessi ci siamo impegnati a suggerire alcune soluzioni, ma la sensazione è quella di una discussione utile per riempire i giornali, non certo quella di concorrere alla soluzione dei problemi. Dopo alcuni anni tutti gli economisti concordano sulla profonda inadeguatezza del Patto di Stabilità e Sviluppo, al netto dei soliti eroi (la coppia Alesina-Giavazzi è un campione insuperabile nel panorama economico), ma le istituzioni europee sono sorde. Se nemmeno una delle tante proposte formulate dai think tank tedeschi sulla possibilità di istituire un Fondo unico che raccolga gli eccessi nazionali di debito pubblico, rispetto al tetto del 60% del Pil, riesce a fare breccia, vuol dire che l’Europa ha inserito un pilota automatico.

Probabilmente la paura degli Stati uniti non è legata alla crisi greca, che nei fatti ha solo accelerato un problema di governo dell’economia europea, piuttosto nella perseveranza di politiche recessive e nei rischi geopolitici insiti nella crisi dell’eurozona. Crisi dopo crisi la politica economica europea è rimasta sempre la stessa ed è diventata sempre più autoregolatrice. È un treno su un binario. Al massimo può rallentare o accelerare (i famosi margini di flessibilità di cui tanto si discetta).

Nulla di più e nulla di meno. L’aspetto sorprendente è come tutto questo sia stato istituzionalizzato a tutti gli effetti. La posizione delle istituzioni europee, lasceremmo da parte il Fmi per la sua posizione che ha recentemente formalizzato, benché il suo presidente sia palesemente vittima della sua brama di potere – rielezione alla guida del Fmi -, è granitica perché pensano proprio quello che dicono. L’Europa deve avere bilanci pubblici in avanzo, una crescita della offerta di moneta coerente ad un target di inflazione stabile, un mercato del lavoro flessibile, un mercato dei beni interamente guidato dalla concorrenza, debiti pubblici sotto controllo e, preferibilmente, anche quelli privati visto che sono stati introdotti vincoli insormontabili alle banche e alle imprese per accedere al credito per nuovi investimenti (Basilea I, II, III e IV), crescita economica guidata dalle esportazioni e tassi di interesse allineati tra paesi. Questa è la posizione europea e delle sue istituzioni. Sono un pilota automatico che i funzionari seguono pedissequamente.

Non a caso sono proprio i funzionari delle istituzioni a guidare la crisi greca, mentre i paesi dominanti, al massimo, concedono ai paesi vassalli di piazzare qualche funzionario qua e la. Abbiamo già dimenticato le formazione della Commissione Europea?

Sarebbe anche possibile immaginare uno scenario europeo diverso. Le proposte non mancano, ma i funzionari non hanno il potere di cambiare le politiche. La politica? Forse è diventata un funzionario anch’essa. Renzi è forse la versione peggiore, ma Monti non era diverso. Il dibattito non è più se uscire o meno dall’euro. Il problema è l’Europa. Dopo il 20 luglio, quando la Grecia non pagherà i 3,5 mld alla BCE, vediamo cosa succede. Dispiace dirlo, ma il tema che oggi la sinistra deve affrontare è lo stesso affrontato da Spinelli e da altri grandi europeisti.