Pil 2021 chiuso con un aumento del 6,5%. L’Istat ha certificato ieri con i dati sul quarto trimestre nel quale l’economia italiana ha registrato una crescita dello 0,6% rispetto ai tre mesi precedenti, e del 6,4% su base annua, stima superiore a gran parte delle previsioni. Un rimbalzo alto e superiore alla media Ue (+5,2%) ma che non fa raggiungere al nostro paese i valori pre-pandemia.
Se le prospettive per il 2022 non sono così rosee – «la recrudescenza della pandemia e il caro energia sono fattore di rischio», fa notare il Mef, confermando però una crescita del Pil superiore al 4%» – le retribuzioni sono sempre al palo. I prezzi corrono più delle busta paga e il potere d’acquisto cala, certifica sempre l’Istat: nel 2021 la crescita delle retribuzioni contrattuali orarie si è fermata allo 0,6% annuo, rimanendo in linea con quella del 2020. A pesare sulla tenuta salariale rispetto al costo della vita è la corsa dell’inflazione che nell’anno alle spalle ha toccato una media dell’1,9%. Una velocità tripla.
In più ci sono ben 6,4 milioni di lavoratori – pari al 52,1% del totale – con contratti nazionali scaduti. Alla fine del 2021 erano 41 i contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica e riguardano il 47,9% dei dipendenti, circa 5,9 milioni. Invece, i contratti in attesa di rinnovo scendono a 32 rispetto al 2020.
Tra i contratti sottoscritti recepiti, dai metalmeccanici alla logistica, e nell’ultimo trimestre dalla carta alle farmacie private al trasporto aereo-vettori.
«Siamo di fronte ad una pandemia salariale e sociale che non ha precedenti, non solo l’inflazione si sta mangiando i salari ma oggi chi lavora è povero», commenta il segretario generale della Cgil Maurizio Landini.