Molte volte abbiamo attribuito la debolezza e lo scarso impatto di alcune opere all’autoreferenzialità degli autori, al loro essere ripiegati su se stessi e concentrati unicamente sulle proprie vicende private. Eppure vi sono casi che smentiscono clamorosamente questo giudizio. Tanizaki, la cui statura di scrittore cresce col passare del tempo, è riuscito a costruire un mondo letterario di grande ricchezza partendo da un rapporto totalizzante con la propria dimensione interiore, e in particolare con quella zona circoscritta che riguarda il sesso e le fantasie a esso collegate. Coltivare le sue ossessioni non solo non lo ha separato dalla realtà ma ha messo in moto un ingranaggio romanzesco tra i più imponenti nella letteratura del Novecento. La mappa del suo immaginario erotico è abbastanza semplice e può essere disegnata con pochi tratti: feticismo dei piedi femminili, culto della donna dominante, tendenze masochiste. Da questi pochi elementi, insufficienti persino per creare un filmino pornografico, si irradia una visione creativa ardita e complessa, di cui L’amore di uno sciocco è uno degli esempi più memorabili.

Il romanzo, che è stato spesso paragonato a Lolita di Nabokov per la giovane età della protagonista femminile e le dinamiche tra i due personaggi principali, fu pubblicato a puntate tra il 1924 e il 1925. Tanizaki si era da poco trasferito nel Kansai, stabilendosi prima a Kyoto e poi nei dintorni di Kobe, in seguito al grande terremoto del Kanto, la regione che comprendeva Tokyo, dove era nato e cresciuto, e Yokohama, dove abitava al momento del sisma. Lo scrittore, legato allo stile di vita moderno di Tokyo e Yokohama, affrontò con una certa riluttanza lo spostamento in una regione che sotto numerosi aspetti era rimasta ancora legata al Giappone tradizionale. Ma lo stile di vita più tranquillo e provinciale del Kansai, meno contaminato dalle influenze occidentali, esercitò su Tanizaki un fascino inatteso. Perfino le sonorità dei dialetti locali gli sembrarono possedere una musicalità incantevole. In breve tempo si integrò in quel mondo al punto da non ritornare mai più a vivere a Tokyo.

L’infatuazione per l’Occidente
Era un cambiamento radicale, una conversione che comportava la rinuncia a una fede, l’Occidente, che aveva sino ad allora sposato con dedizione addirittura fanatica, e la scoperta di un nuovo sé, innamorato dell’antico e del classico. Le sue fantasie erotiche non ne furono influenzate, ma certo assorbirono nuove suggestioni che si tradussero in una più ampia gamma di stili e atmosfere, dando vita tra l’altro ad alcuni mirabili romanzi storici. L’amour fou a cui allude il titolo dell’Amore di uno sciocco non è solo la passione del protagonista e io narrante Joji per Naomi, una giovane cameriera da lui scoperta in un caffè di Tokyo, ma anche la sua infatuazione per l’Occidente. Tanizaki racconta con grande autoironia questi due amori ostinati e irragionevoli che si alimentano a vicenda. È un’ironia che nasce anche da una tempistica particolare: come Joji, Tanizaki aveva vissuto fino a un anno prima immerso nella stessa atmosfera, inseguendo le mode occidentali, e aveva nutrito una passione per la sorella di sua moglie, una flapper giapponese che, su imitazione delle sue omologhe americane, ballava il charleston, portava i capelli a caschetto, fumava e aveva un atteggiamento disinvolto nei confronti degli uomini. Il trasferimento nel Kansai e la riscoperta del Giappone tradizionale lo avevano messo in una posizione di distanza verso queste passioni.
Tanizaki scopre nuovi interessi ma mostra, nei confronti del suo passato recente, una lealtà assoluta. Ci è risparmiato il lamento che spesso contraddistingue chi abbandona una fede per abbracciarne un’altra.

Al pentimento, Tanizaki preferisce l’ironia. Ed è con ironia che ripercorre i goffi tentativi di Joji di comportarsi da occidentale e le tappe del suo cammino verso la sottomissione a Naomi. All’inizio lei è solo una ragazza come tante che si guadagnano da vivere in una Tokyo in piena modernizzazione, confusa in mezzo alla folla. Sono gli anni Taisho, il periodo che va dai primi anni dieci del Novecento alla metà degli anni venti, e che corrisponde al breve regno dell’imperatore omonimo: una fase di apertura politica e culturale in cui le mode straniere si diffondono con rapidità contagiosa. A dominare la scena è una generazione di giovani che frequentano i caffè, ascoltano il jazz, adorano il cinema.
I maschi si chiamano mobo, abbreviazione di modern boys, le ragazze moga, modern girls. Naomi ha quattordici anni, Joji ventisette. Ad attirarlo in lei è soprattutto il fatto che Naomi abbia un aspetto vagamente occidentale – il suo viso gli ricorda quello di Mary Pickford –, impressione accentuata da un nome che non è tipicamente giapponese. Joji, figlio di una famiglia contadina benestante di provincia, impiegato modello in una ditta di Tokyo, attratto dalla ragazza, le propone di andare a vivere con lui per «educarla». La sua è una lussuria dal volto gentile, ammantata di spirito pedagogico. Le insegnerà le buone maniere, le pagherà lezioni di inglese e di musica, la tratterà come un papà affettuoso. Naomi si trasferisce a casa di Joji nell’indifferenza dei suoi familiari, sollevati dal fatto che un gentiluomo danaroso si prenda cura di lei, e per un certo periodo lui mantiene i suoi propositi di castità. Poi vanno al mare, e vederla per la prima volta in costume da bagno accende in lui un interesse per lei che non riesce a reprimere. Prende l’abitudine di farle il bagno, annota su un diario i cambiamenti che nota nel corpo di lei, dai segni dell’abbronzatura al suo sviluppo fisico. Poi finalmente i loro rapporti diventano «intimi». Joji, come al solito rispettoso delle regole della buona società, vuole regolarizzare il loro rapporto. Così, con il consenso delle rispettive famiglie – la differenza di età non è considerata un ostacolo da nessuno – i due si sposano. Mentre Joji vizia sempre più Naomi, accontentando ogni suo desiderio, la sposa bambina mostra nuovi aspetti del carattere, rivelandosi capricciosa, piena di pretese, autoritaria. Joji, lungi dal contrastare questi difetti, li incoraggia.

Una passione anarchica
Il lettore, che aderisce sin dall’inizio al punto di vista dell’io narrante – una voce tanto inaffidabile quanto seduttiva – è reso partecipe di questo progressivo disvelarsi di Naomi, e nello stesso tempo scopre anche la vera natura di Joji, la sua vocazione di Pigmalione al negativo. Come per altri personaggi di Tanizaki, il suo intento non è quello di scoprire e valorizzare le doti di una donna, ma farne emergere il lato oscuro, portare alla luce la sua intrinseca natura dominante. Se questi uomini svolgano davvero un ruolo maieutico, aiutando l’inespresso a manifestarsi, o compiano veri e propri atti di corruzione, innestando in creature innocenti il seme di una degenerazione morale, è lasciato al giudizio del lettore. Ma il lettore di Tanizaki di solito preferisce non giudicare, e seguire lo scrittore dovunque egli voglia condurlo. E così segue stupito e deliziato la metamorfosi di Naomi e la progressiva rinuncia di Joji al decoro e alla dignità. Vi è un senso di onnipotenza nel suo abdicare ai propri doveri sociali e al rispetto di sé. Cedendo ai capricci e ai tradimenti di Naomi, elevandola a divinità di cui diventa schiavo, in fondo Joji riesce in quell’impresa concessa a pochissimi: realizzare le fantasie più nascoste, affermare la propria volontà più profonda. Quando, dopo una notte insonne passata insieme agli amici maschi che Naomi che ha voluto ospitare insieme a lui sotto una zanzariera, Joji, facendosi strada tra il groviglio di corpi può finalmente guadagnarsi il piede di Naomi, la sua felicità è perfetta. «Quel bianchissimo, meraviglioso piede che ora riposava tranquillo, almeno adesso era davvero mio».
Per inseguire sogni che si potrebbero definire fantasmi se non avessero la concretezza e la carnalità di Naomi, Joji viola le regole del mondo in cui è cresciuto. Volta le spalle alla lealtà filiale, ai propri datori di lavoro, all’insieme della società che lo deride e lo disprezza. La sua lussuria si fa anarchica.