Nella miglior tradizione dei generali italiani, Renzi addossa agli ufficiali subalterni e ai soldati, che non si battono, la responsabilità della sconfitta. Vero è che Casson non è un suo devoto. Ma finge d’ignorare che una sconfitta disastrosa l’ha incassata pure ad Arezzo, ove signoreggia la fedelissima ministra Boschi, e che un paio di settimane fa è andata male in Liguria e malissimo in Veneto, male in Emilia Romagna, perdendo ovunque una montagna di voti, fedeli o meno che fossero i candidati.

Almeno pubblicamente, non lo sfiora il dubbio di avere completamente sbagliato piano di battaglia, di essersi intestardito in una tattica perdente e invisa proprio al suo elettorato. Probabilmente il dubbio ce l’ha, eccome. Ma rientra appieno nel personaggio mostrare assoluta sicurezza e fingere di non commettere mai sbagli.

In realtà, Renzi sta facendo del suo meglio per restituire il paese alla destra. Santo cielo, quest’idea di restituirlo ai suoi «naturali» governanti non è proprio sua. La storia è cominciata il giorno in cui Napolitano, dopo il fragoroso collasso del berlusconismo, anziché convocare i comizi elettorali, decise di affidare il bastone di comando a un impettito ragiunatt milanese persuaso che il paese dovesse severamente espiare le mediocrissime generosità elettorali delle sue dirigenze politiche. Napolitano era verosimilmente convinto che il ragiunatt potesse alfine fondare quella destra «normale» che una parte non secondaria della sinistra e della sua intellighentzia augurano da tempo agli italiani. In fondo, a costoro, un partito moderato, carico sì di difetti, ma democraticamente piuttosto affidabile come la Dc, non andava proprio giù.

Napolitano concepì il disegno. Il Pd di allora ebbe il gravissimo torto di assecondarlo, temendo di assumersi la responsabilità di governare in un tempo reso difficilissimo dai disastri commessi da Berlusconi. Il paradosso è che la responsabilità se l’assunse lo stesso, approvando provvedimenti quanto mai impopolari e pasticciati, in primis la legge Fornero, quando forse se avesse dovuto decidere in prima persona avrebbe fatto almeno un po’ meglio. Se non altro agli occhi dei suoi elettori.

Sappiamo bene com’è andata. Alle politiche il disegno di una destra normale guidata dal ragioniere ha fatto flop, la destra berlusconiano-leghista non è crollata ed è invece avanzato con prepotenza l’enigma grillino. Soprattutto il Pd non ha avuto la maggioranza al Senato. Ciò ha dato agio a Napolitano di scartare in malo modo Bersani e di riproporre il suo disegno: una destra normale, via grande coalizione. Salvo che il bravo Letta era troppo educato e inesperto per interpretare la parte. Finché non s’è fatto avanti Renzi, che ha detto risolutamente: la destra normale sono io. E si è messo a fare cose di destra. Sulla cui illustrazione non è il caso di attardarsi.

Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. Alle europee Renzi ha attratto un bel po’ di voti di destra e bulimicamente gonfiato il suo seguito elettorale oltre il 40 per cento. Che però ha presto cominciato a sgonfiarsi. Fino al voto di domenica scorsa. La diagnosi è presto fatta. Il voto di destra se ne sta tornando a casa. Renzi fa cose di destra, ma il popolo di destra non si accontenta del Jobs act. Vorrebbe calate le tasse. In più, sul tema dell’immigrazione, del tutto inadeguate si rivelano le doti d’improvvisazione di Renzi, spianando un’autostrada alla destra razzista, risorta dalle sue ceneri sotto la ringhiosa guida di Salvini.

All’emorragia verso destra del partito della nazione si accompagna l’emorragia verso il non voto. Renzi ha disgustato finanche i fedelissimi del suo partito, che sono gli insegnanti. Ha inasprito i pubblici dipendenti, che di regola non solo affatto fannulloni. Ha sfottuto i pensionati, dopo la sentenza riparatoria della Corte. Ha preso in giro i giovani, con la falsa promessa di un lavoro. Mentre non s’intravede neanche l’ombra della ripresa, modesta, in atto negli altri paesi d’Europa. Né gli elettori di centrosinistra si contentano di una brutta legge elettorale, della superflua abolizione del Senato e di quella delle province. Le strade provinciali sono tutte dissestate. Dunque, non vanno più a votare.

Insomma, la presa in giro è tanto evidente che a Renzi non basta più il sostegno a testa bassa della grande stampa nazionale. Le torbide vicende romane stanno altresì a dimostrare che l’immoralità non è solo prerogativa della destra, ma è condivisa purtroppo anche dal Pd. Nel Pd c’è gente seria che sinceramente se ne preoccupa. Ma le preoccupazioni non bastano a fare la differenza agli occhi degli elettori. E il bilancio di un quadriennio di sofferenze si presenta disastroso. L’elettorato di centrosinistra si sta squagliando. Il paese non se la passa affatto bene. La destra normale non s’è mai vista e quella populista e faccendiera non solo è risorta, ma è pure diventata razzista. E si accinge a tornare alla guida del paese. Chapeau: a Renzi e a Napolitano.