«Un corpo non è solo sinonimo di donna, di segregazione sessuale e di velo. Corpo vuol dire soprattutto individuo, maschile e femminile, con le sue irrinunciabili differenze. Nell’approccio a questo tema, le società arabe ed europee non sono poi così diverse». Nel suo saggio Le Corps dans le roman des écrivaines syriennes contemporaines (edito da Brill), Martina Censi, ricercatrice e docente di lingua e letteratura araba all’Università di Rennes 2, spiega il ruolo della condizione non solo femminile nel mondo arabo quanto piuttosto della persona stessa nella contemporaneità.

Chi sono i protagonisti dei sei romanzi scelti per condurre la sua ricerca?
In Una sedia di Dima Wannus il focus è un uomo: il corpo del protagonista subisce una frammentazione che rappresenta l’effetto del potere repressivo sull’individuo. In questi romanzi ci sono donne e uomini in divenire: attraverso la propria fisicità, ogni personaggio rivendica una differenza, contribuendo a mettere in discussione ogni rappresentazione monolitica di mascolinità e femminilità.

Corpo e repressione, corpo e potere, corpo tra tradizione e modernità. Binomi che raccontano qualcosa nei libri presi in esame….
Ogni capitolo del mio saggio è dedicato a un romanzo specifico. L’aspetto principale riguarda la raffigurazione del corpo come luogo simbolico della lotta tra istanza individuale, cioè la spinta all’affermazione della propria libertà, e istanza collettiva di controllo, rappresentata in ognuno da uno o più elementi: il potere repressivo legato al partito al governo, la logica di dominazione che oltre ad organizzare la società permea le relazioni intime, l’influenza della tradizione che attribuisce dei ruoli sociali agli individui. Più questi si allontanano dalla morsa della repressione politica, dal peso della tradizione, dalla logica di dominazione, più riescono a godere del proprio corpo. L’affermazione del piacere è un atto rivoluzionario.

Qual è stata la genesi del suo saggio?
Ho dedicato a questo argomento la mia tesi di dottorato. Ma desideravo approfondire la produzione narrativa contemporanea siriana – per questo motivo ho optato per sei romanzi scritti tra il 2004 e il 2011. Non sono riuscita a includere tutte le autrici siriane che hanno pubblicato recentemente, ma i nomi – Dima Wannus, Rosa Yasin Hasan, Maha Hasan, Samar Yazbek, Hayfa’ Bitar e Salwa al-Naymi – sono rappresentativi del panorama attuale. Ho scelto lasciandomi condurre dai romanzi, che hanno confermato la mia supposizione: i testi erano pervasi dalla presenza di corpi. Ho iniziato da Il Profumo della cannella di Samar Yazbek, storia della relazione erotica tra due donne agli antipodi: una matura dell’alta borghesia damascena, e un’adolescente venduta dal padre per lavorare nella villa della ricca signora. Qui l’elemento del corpo è centrale.

Perché proprio la Siria come luogo simbolico per la sua indagine?
È stato il primo paese arabo che ho visitato durante i miei studi. Ho percepito lì una realtà diversa e vicina al contempo, che mi ha messa in contatto con un’umanità che non mi era capitato di incontrare prima. Così, scrivendo il libro, ho voluto lasciare alcuni passaggi dei romanzi in arabo per dare al lettore la possibilità di accedervi direttamente attraverso la lingua originale.

Il saggio è in francese. Non pensa a un’edizione italiana?
Desideravo che il mio saggio circolasse oltre i confini nazionali e Brill è una delle case editrici più note a livello internazionale. Sarei molto felice se il mio lavoro potesse essere tradotto in italiano. Ma il limite non è di natura linguistica: spesso le case editrici considerano la letteratura araba come non redditizia, a meno che non si tratti di opere che stimolano l’immaginario orientalista del pubblico, segregazione femminile, velo e via dicendo. Negli ultimi anni, però, c’è stata una inversione di tendenza, con un aumento delle opere tradotte dall’arabo in italiano.

A proposito di corpo: quello femminile suscita ancora oggi dibattiti e discussioni…
Il corpo femminile continua a rappresentare l’altro per eccellenza, il cui marchio è la differenza definita dalla non conformità rispetto al maschile, considerato come la norma, termine di paragone «neutro». Non è un semplice involucro di carne: è la sintesi di più variabili che interagiscono tra loro – linguaggio, storia personale, età, appartenenze, nazionalità, classe sociale. È un’entità iscritta in una rete di relazioni di potere.

Tempo fa si è accesa una polemica sul burkini: non le sembra che il corpo femminile sia una specie di bacheca su cui affiggere un manifesto?
Certamente. Troppo spesso è strumentalizzato in nome di politiche identitarie: negli anni ’70 i collettivi di sinistra non tolleravano il trucco sui visi delle compagne, perché considerato simbolo borghese. In risposta alle femministe europee che additavano le musulmane velate, Fatima Mernissi rispondeva che in Europa il velo delle donne era rappresentato dalla taglia 42. Sarebbe utile, quindi, cercare di avere maggiore consapevolezza dei modelli ai quali si aderisce per fornire a se stesse e all’altro una determinata identità. Per quanto riguarda il burkini, dibattiti e analisi erano eccessivi se commisurati all’importanza della questione, di per sé marginale: è l’ennesima forma di orientalismo – o razzismo – funzionale alla costruzione di un’immagine dell’altro come meno evoluto che spesso ha per bersaglio i corpi delle donne musulmane.

Una donna è forse ancora un oggetto pubblico nella società araba tradizionale?
La donna è ancora un oggetto pubblico un po’ dappertutto, direi. Basti pensare ai recenti casi di femminicidio in Italia, alle ragazze che si sono suicidate dopo essere state messe alla gogna sui social. Nei paesi di cui mi sono occupata – Siria e Libano – il peso della tradizione si fa tuttora sentire, limitando la libertà individuale. Non si tratta dell’Islam, ma di un sistema di valori condiviso che accomuna le diverse confessioni religiose e che lega l’identità del singolo a quella collettiva. Ecco perché il corpo acquisisce un’importanza centrale nella produzione letteraria: rappresenta l’individuo e la sua lotta per l’affermazione della propria libertà.

Assia Djebar diceva «scrivo contro la regressione e la misoginia». Quali sono le tappe fondamentali ancora da compiere per la parità di genere nel mondo arabo?
L’islam non è una realtà monolitica. Anzi, cambia di stato in stato, di paese in paese. Per questi motivi non si può pensare che il proprio punto di vista sia applicabile a tutte le realtà e valido per tutte le persone: il velo può essere femminista e può rappresentare una libera scelta della donna. Un passo necessario per il cambiamento è l’apertura verso ciò che si considera diverso e la disponibilità a uno sconvolgimento delle categorie di pensiero alle quali siamo ormai assuefatti, tanto da considerarle le uniche possibili.