Il desiderio di tradurre è, a volte, una passione enigmatica e potente, che confina con una forma misteriosa di coazione, un godimento vicario sfumato di sensi di colpa, tensioni ideali, trionfi segreti e miserie quotidiane. E, soprattutto, guidato nel suo duello paziente con l’elusività dei testi originali da quella che Nabokov chiamava la «frustrazione ottimale» del traduttore: un artefice che non ha il diritto di trarre soddisfazioni primarie dal suo lavoro, vale a dire produrre un’opera che piaccia a lui prima di tutto; ragion per cui non può essere né credersi artista. Perché allora si cerca piacere nel tradurre? I...